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Meno occupati e più pensionati: il sistema previdenziale va tutelato

da Redazione

Negli ultimi dieci anni sono triplicati i disoccupati, ma soprattutto si sono persi quasi 2.000 ‘contribuenti’ attivi rispetto ai picchi del 2008-2009: se non interverranno miglioramenti anche l’ingente patrimonio accumulato finora potrebbe esaurirsi in meno di venti anni.

 

di Daniele Bartolucci

 

Il rilancio dell’occupazione a San Marino sta passando dall’essere un obiettivo politico ad una necessità del sistema, in particolare di quello previdenziale, la cui sostenibilità – nonostante la riserva tecnica di quasi 400 milioni di euro, un unicum al mondo – oggi si trova a dovere fare i conti con diversi fattori negativi.

Primo tra tutti il progressivo deterioramento del rapporto tra il numero di lavoratori attivi e quelli pensionati, con la conseguenza diretta di un’erosione dei fondi pensione stessi e del patrimonio accumulato negli anni. Patrimonio che, come impiegato attualmente e stante l’abbassamento dei tassi di interesse, genera una rendita sempre minore.

Inoltre, nonostante la legge lo preveda, non è scontato che si potrà fare affidamento sul contributo dello Stato, tanto è vero che per il secondo anno consecutivo la finanziaria ha previsto un tetto massimo del 5% quale contributo, mentre la norma sarebbe dal 10 al 25%.

Indirettamente, poi, le difficoltà del sistema previdenziale si ripercuotono sull’attrattività di nuovi lavoratori dall’estero e in definitiva anche in una riduzione della competitività dell’intero sistema Paese.

 

MENO CONTRIBUENTI E PIÙ PENSIONATI

Non è solo la disoccupazione a livelli record (1.594 persone a fine febbraio) a preoccupare, bensì il rapporto tra occupati e pensionati, che si è deteriorato negli ultimi dieci anni a tal punto che si sta andando verso l’allarmante livello di due ‘contribuenti’ per ogni ‘erogato’. Secondo i dati forniti dall’Ufficio Informatica, Tecnologia, Dati e Statistica) la forza lavoro totale è addirittura aumentata di circa 700 unità rispetto al 2005, mentre è diminuita di quasi mille rispetto al picco del 2008-2009.

Ma ovviamente questo dato tiene conto anche dei disoccupati, che sono costantemente aumentati, arrivando appunto a triplicare in meno di dieci anni. Esclusi questi, infatti, gli occupati totali – su cui il sistema sammarinese poteva fare leva per il gettito fiscale e previdenziale – sono diminuiti di oltre 2.000 unità rispetto allo stesso picco.

Alcuni, è vero, sono andati a rinfoltire il numero dei disoccupati, ma molti sono proprio usciti dal mercato del lavoro (tra frontalieri e nuovi pensionati, oltre ovviamente agli eventuali decessi), depauperandolo e restringendo conseguentemente anche il gettito fiscale e, come detto, anche il livello della contribuzione ai fondi pensione. Nel mentre, però, sono aumentati i pensionati e quindi a fronte di sempre meno ‘contributori’, i fondi si trovano a dover erogare sempre più pensioni. E a un numero sempre più elevato di pensionati, stante anche il miglioramento delle condizioni di vita e quindi l’innalzamento dell’aspettativa di vita, tanto che ai livelli attuali chi va in pensione oggi può sperare di percepire come minimo 20 se non 25 anni di mensilità.

La domanda è: tra qualche anno, chi le pagherà se gli occupati sono sempre meno?

 

OCCUPAZIONE: IL RILANCIO NON SI VEDE ANCORA

Il ‘primo pilastro’ del sistema previdenziale sammarinese ha potuto avvantaggiarsi negli anni di una sproporzione tra contribuzioni e prestazioni erogate, accumulando un patrimonio enorme che, però, non potrà far fronte negli anni a venire all’incremento delle prestazioni, a meno che non si intervenga per modificare i fattori negativi, tra cui spicca quello dell’occupazione.

Il rilancio dell’occupazione – e quindi del numero di lavoratori che contribuiscono ai fondi pensione – è una soluzione logica che eviterebbe in futuro operazioni d’urgenza, ma servono interventi mirati, che migliorino gli strumenti oggi a disposizione delle imprese (e anche del pubblico) per creare nuovi posti di lavoro: le agevolazioni previste dalle norme, così come la defiscalizzazione delle assunzioni sono la strada giusta, anche se al momento gli effetti positivi (nuove assunzioni grazie alla Legge Sviluppo ad esempio) non sono quantificabili, mentre è vero che il numero di occupati scende di anno in anno.

E’ necessaria quindi un’analisi approfondita sugli effetti di queste normative e, laddove si evidenzino criticità od ostacoli al conseguimento degli obiettivi prefissati, intervenire per rimuoverli.

In questo contesto di valutazioni e verifiche, sarebbe inoltre opportuno confrontarsi anche con quanto sta avvenendo fuori confine, in America ed Europa, ma anche nella vicina Italia, che ha introdotto proprio in questi mesi nuovi sistemi incentivanti – il Jobs Act e le defiscalizzazioni delle ultime leggi finanziarie – i quali, stando ai primi dati forniti da Governo, Unioncamere e Istat, sembrano aver prodotto numeri positivi, invertendo il trend della disoccupazione, facendo ipotizzare la stessa cosa per la moria di imprese.

Quando si guarda all’estero, inoltre, occorre valutare anche la competitività dell’offerta di lavoro (oltre a quella del ‘fare impresa’), visto che San Marino ha il vantaggio/svantaggio di fare leva sul lavoro frontaliero (oltre 5mila unità, quasi un quarto degli occupati) e quindi deve proporre condizioni lavorative migliori che in Italia.

Riguardo i frontalieri, inoltre, restando in tema previdenziale, andrebbe presa in considerazione anche una forma di residenza tale che, una volta pensionati, continuino a ‘contribuire’ al sistema, mentre oggi la loro pensione viene erogata da San Marino ma quasi certamente non viene spesa a San Marino.

L’altra strada da percorrere è quella di puntare sull’occupazione giovanile, una vera e propria ‘spinta’ al sistema previdenziale, visto che garantirebbe non solo più contributi oggi, ma anche per più anni, stante anche l’innalzamento dell’età pensionabile ai 66 anni a partire dal 2021 (oggi 65, ma disposto solo nel 2008, prima erano solo 60 anni).

Le recenti Leggi agevolano l’imprenditoria giovanile e quelle imprese innovative, che potrebbero assumere giovani diplomati e laureati, ma probabilmente non basterà. Interessanti sono anche i voucher per la formazione all’estero, che secondo le intenzioni iniziali avrebbero dovuto riqualificare la classe dirigente sammarinese, ma senza reali pianificazioni e ‘paletti’ chiari, i risultati di tali percorsi formativi non sono ancora evidenti. Ma potrebbero diventarlo, se si mettesse mano – anche qui dopo un’attenta analisi e verifica di quanto fatto finora – alla normativa.

 

IL CONTRIBUTO STATALE: DA DUE ANNI È RIDOTTO

Come noto, la Legge 15 del 1983 prevede che “lo Stato concorre al risanamento dell’eventuale disavanzo annuale delle singole gestioni di cui al fondo pensioni previsto dall’art. 1. Comunque l’intervento dello Stato riferito alle singole gestioni, non può superare il 25% delle entrate contributive annuali delle gestioni stesse, fermo restando un contributo del 10%”.

Sulla base di questo dispositivo, il bilancio dei fondi pensione dipende direttamente anche dalla capacità ‘contributiva’ dello Stato. Capacità che negli ultimi anni si è ridotta a tal punto che nella finanziaria per il 2014 è stato deciso di ridurre quel contributo ad un 5%. Doveva essere un’eccezione, invece la deroga alla Legge 15/1983 si è ripetuta anche per il 2015, e non si vedono miglioramenti tali nel bilancio dello Stato tali da far sperare che non venga ripetuta anche negli anni a venire.

Di fatto si tratta di una mancata entrata da parte dei fondi, che invece ci facevano affidamento sia per migliorare i loro bilanci sia per prevedere maggiori rendite grazie ad un maggior patrimonio investito.

Va da sé che, se dovesse ripartire l’occupazione si genererebbe un duplice flusso in entrata, ovvero più contributi previdenziali versati e anche più gettito fiscale: la classica fava che fa prendere due piccioni.

 

PENSIONI POCO ATTRAENTI PER I MANAGER

Come detto, un quarto dei lavoratori sammarinesi è costituito da frontalieri.

Se sul fronte retributivo le condizioni vantaggiose di un tempo si sono ridotte (su quello fiscale, grazie alla franchigia italiana, è ancora preferibile lavorare sul Titano), sul piano previdenziale San Marino garantisce comunque un livello migliore di quello del loro Paese di provenienza.

Ma non per tutti.

E’ il caso dei dirigenti, dei manager e comunque di coloro i quali versano contributi per decine di migliaia di euro pur avendo, per legge, un ‘tetto’ di circa 45mila euro l’anno di pensione a cui avranno diritto una volta raggiunti i limiti di età previsti.

Questa limitazione – che si somma ad un contributo di solidarietà che già versano per i redditi più alti – penalizza in maniera non proporzionale tutti coloro che versano molto di più, disincentivando l’ingresso nel mercato del lavoro sammarinese di figure di primo piano.

Difficilmente i migliori manager verranno a San Marino sapendo che a fronte di redditi da centinaia di migliaia di euro percepiranno solo 45mila euro l’anno di pensione (comunque rivalutati annualmente). Se non si interverrà sulla normativa, rimodulando questo ‘tetto’ in funzione di una proporzione che tenga conto del reddito – anche a scaglioni -, l’unico modo per le imprese (e anche per la PA) di accaparrarsi i migliori al mondo è quello di ‘pagare’ di più i propri manager, creando a proprie spese fondi di previdenza integrativa. Questo comporta già oggi una perdita di competitività ovviamente e, nel lungo periodo, potrebbe abbassare il livello qualitativo delle professionalità presenti nel sistema economico.

Mentre è indubbio che San Marino necessiti soprattutto di queste figure professionali per riposizionare la sua economia in un contesto internazionale: creandole, come è il caso della formazione all’estero citata prima, o attirandole da fuori confine, facendo leva anche sul proprio welfare eccezionale che, nel caso delle pensioni però pone una limitazione non proprio allettante.

Senza considerare il fatto che tali posizioni – dirigenti e manager – sono anche quelle che contribuiscono maggiormente in proporzione al loro reddito al sistema previdenziale e fiscale e sarebbe auspicabile un sistema che ne incentivi l’arrivo e la permanenza, non il contrario.

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