Home FixingFixing Una storia è un dipinto tradotto in parole

Una storia è un dipinto tradotto in parole

da Redazione

Cosa hanno in comune Simonide, Baricco, Vermeer e Dorian Gray? La forza dei particolari: l’orecchino di perla, il turbante, le cicatrici.

 

di Simona Bisacchi Pironi

 

Se il mondo diventasse muto, gli uomini continuerebbero comunque a raccontare le loro vicende. Armati di penne e di pennelli, l’avventura dell’umanità non smetterebbe di essere tramandata.

Il poeta greco Simonide sosteneva che “La pittura è poesia silenziosa e la poesia è pittura che parla”.

Ogni pittore racconta una storia. E una storia, a volte, non è che un dipinto tradotto in parole.

Succede in “Oceano mare” di Alessandro Baricco. Le voci di Savigny e Thomas – i personaggi a cui lo scrittore affida il racconto del naufragio della nave francese Alliance e della sorte che colpì i quindici superstiti, a cui non rimase che un barcone a cui aggrapparsi – sembrano alzarsi direttamente da “La zattera della Medusa” di Theodore Gericault, da quel cumulo scomposto di corpi dipinti nell’Ottocento. Il “ventre del mare” narrato da Baricco ha i colori, il dramma e la perdizione del quadro custodito al Louvre. Su quella zattera, tra cadaveri e terrore, sembra di scorgere il giovane marinaio Thomas giurare vendetta: il medico Savigny non dovrà morire lì, travolto dall’acqua, ma tra le sue mani. Dovrà ucciderlo lui. Come Savigny ha ucciso la sua amata Therese. “Dovessi vivere ancora mille anni, amore sarebbe il nome del peso lieve di Therese, tra le mie braccia, prima di scivolare tra le onde. E destino sarebbe il nome di questo oceano mare, infinito e bello”.

A volte, invece, non sapere come è nato un dipinto offre la possibilità di inventarne la genesi. Cosa ha portato un pittore del Seicento fino all’orlo del capolavoro? Quale storia ha vissuto con la musa del suo ritratto? Così il pittore olandese Jan Vermeer, di cui in realtà si sa ben poco, è diventato un personaggio da romanzo, affascinante e tormentato, nella storia raccontata da Tracy Chevalier ne “La ragazza con l’orecchino di perla”. Una donna di umile estrazione sociale, un orecchino degno di una nobile, una bellezza magnifica, e un pittore di cui non si sa quasi nulla: il fardello di enigmi racchiuso in questo piccolo dipinto è una tentazione troppo forte, è una storia che non può non essere romanzata.

“La ragazza col turbante”, titolo originale dell’opera, è diventata l’eroina romantica di una passione che nessuno mai conoscerà davvero, ma che per tutti avrà lo sguardo languido di Scarlett Johansson (protagonista del film tratto dal romanzo).

Ma alla fine il quadro più celebre della storia della letteratura lo ha dipinto con arguzia e infinita raffinatezza la penna di Oscar Wilde. “Il ritratto di Dorian Gray” rimane lì a fissarci, raccontandoci le agghiaccianti conseguenze dell’ossessione per la giovinezza e la bellezza.

Avere un quadro che invecchia per te.

Un dipinto che accumula i tuoi errori.

Un’immagine di te che si storpia al tuo posto, lasciando il tuo corpo e il tuo volto intatti.

Un ritratto che fa passare gli anni su di sé, permettendo a te di rimanere giovane, candido, agile.

Mentre sulla tela ogni tuo sbaglio prende la forma di un ghigno, e il tempo che passa diventa solco, cicatrice. Dorian Gray rende il suo ritratto un ricettacolo di misfatti e corruzione.

Cosa non s’inventano questi scrittori geniali!

Chi mai ci terrebbe tanto ad apparire perfetto, pur sapendo di non esserlo affatto?

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento