Home FixingFixing Acceso il ‘bazooka’ di Draghi: tassi giù ed euro più debole

Acceso il ‘bazooka’ di Draghi: tassi giù ed euro più debole

da Redazione

L’acquisto massiccio di titoli di Stato favorirà Governi e banche: si tradurrà poi in ripresa? Oltre 1.100 miliardi di liquidità in un anno e mezzo. Obiettivi: export e inflazione.

 

di Daniele Bartolucci

 

Il “Quantitative easing” della Bce è partito. Ma cos’è “il bazooka di Mario Draghi” e quali effetti avrà per l’eurozona e, indirettamente, anche per San Marino? La nuova liquidità dovrebbe infatti svalutare l’euro nei confronti del dollaro – si punta alla parità del cambio – e favorire quindi le esportazioni, ma soprattutto dovrebbe invertire il trend deflattivo e generare un po’ di ‘sana’ inflazione, partendo dal presupposto che è compito proprio della Bce mantenere tale tasso al 2%.

 

OLTRE MILLE MILIARDI DI NUOVA LIQUIDITÀ

Ufficialmente si tratta di un “programma di espansione monetaria”, che prevede un piano di acquisto di titoli da parte della Bce di 60 miliardi di euro mensili da marzo 2015 almeno fino a settembre 2016. In totale, quindi, l’acquisto di non meno di 1.140 miliardi di euro di asset (circa il 12% del Pil europeo) con maturità tra due e trent’anni, tra cui titoli di Stato (per circa 43 miliardi di euro mensili), titoli sovranazionali (purché denominati in euro ed emessi da agenzie della zona euro), obbligazioni bancarie garantite (covered bond) e titoli cartolarizzati (asset backed securities). I titoli di Stato verranno selezionati in base al paese di origine dell’emittente in proporzione alla quota di partecipazione che la relativa banca centrale nazionale ha nel capitale della Bce: per l’Italia è il 17,5 per cento – quindi 7,4 miliardi mensili e 140,3 totali, ovvero poco meno del 7 per cento del debito pubblico italiano; per la Francia il 20,1 per cento; per la Germania il 25,6 per cento; per la Spagna il 12,6 per cento; per la Grecia il 2,9 per cento. Sono previsti tetti, pari al 33 per cento per ogni emittente sul totale dei titoli emessi e del 25 per cento sulle singole emissioni. Inoltre, gli asset acquistabili dovranno avere almeno un investment grade (BB di S&P’s e Fitch, Ba di Moody’s), mentre solo il rischio sul 20 per cento dei titoli pubblici e sovranazionali resterà in capo alla Bce (il resto alle banche centrali nazionali).

 

EURO PIÙ DEBOLE UNA MANNA PER L’EXPORT

Il Qe non è arrivato all’improvviso e già dal suo annuncio ha generato quello che è uno degli obiettivi primari dell’operazione: svalutare l’euro nei confronti soprattutto del dollaro americano. La risalita della moneta verde è partita già nel 2014 ed è diventata inarrestabile nelle ultime settimane, tanto che si stima la parità di cambio entro l’estate (al momento della pubblicazione 1 euro è scambiato con 1,055 dollari). Se l’euro si svaluta, i prezzi dei prodotti europei diminuiscono in termini di dollari (e yen, e rubli, ecc.) rendendo le merci Made in Europe più convenienti. Questo però non dovrebbe rappresentare in automatico un aumento delle esportazioni, anche perché non tutti i Paesi esportano fuori dall’Ue in maniera preponderante. Basti pensare che l’Italia, la seconda economia manifatturiera d’Europa, esporta nei paesi extra-Ue solo il 60%. Anche San Marino avrà il vantaggio di un euro meno costoso, ma anche un export verso l’Europa (e l’Italia in particolare) che potrebbe annullarne i benefici. A questo andrebbero aggiunti due fattori negativi: il primo è legato alle tensioni con Mosca, che di fatto limitano fortemente l’export verso la Russia, il secondo è la politica statunitense volta a ridurre il proprio deficit che potrebbe ‘respingere’ l’offerta di prodotti a minor costo provenienti dall’Europa (e quindi anche da San Marino). Resta il fatto, però, che altri mercati saranno certamente contenti, vedi quello arabo, l’Asia e il Sud America.

 

INFLAZIONE E MENO INTERESSI SUI DEBITI

Una moneta verde più forte significa che anche i costi delle materie prime (come il petrolio) dovrebbero aumentare , visto che normalmente vengono importate dai Paesi Ue e il loro prezzo è quasi sempre in dollari americani. Questo dovrebbe tradursi in inflazione, anche se tecnicamente risulterebbe solo ‘importata’ e quindi con effetti più blandi di quella generata da una ripresa economica vera e propria nell’eurozona. E questo si rifletterà anche su San Marino che, ovviamente, è costretto a importare quasi tutto. Inoltre, al contrario degli Stati membri dell’Ue, l’antica Repubblica non potrà giovarsi dell’altro effetto – questa volta positivo – del ‘bazooka di Draghi’, ovvero l’abbassamento degli interessi sul debito dello Stato. Infatti l’acquisto massiccio e costante di titoli di Stato da parte della Bce avrà – e in parte lo ha già avuto – l’effetto di aumentare il prezzo degli stessi, con la conseguenza che il loro rendimento (che è poi il tasso di interesse con cui lo Stato emittente paga quando deve finanziare il proprio debito) scende. Tradotto: si risparmiano soldi e si alleggerisce la ‘zavorra’ che affossa quasi tutti i Paesi dell’eurozona, come l’Italia. Teoricamente, ma è quanto sta già avvenendo, calando il rendimento dei titoli di stato dovrebbero calare anche tutti gli altri, compresi quelli delle obbligazioni di banche e aziende, e, in definitiva dovrebbero scendere tutti i tassi, compresi anche quelli a cui sono indicizzati i mutui e i prestiti.

 

L’OBIETTIVO FINALE: FAVORIRE GLI INVESTIMENTI

Le banche dovrebbero quindi ‘arricchirsi’ dalla vendita dei titoli di Stato che hanno comprato e detenuto fino ad oggi, e potrebbero usare la nuova liquidità per tornare a fare le banche, ovvero prestare denaro e fare investimenti. Investimenti che, con più liquidità, tassi bassi e un minimo di inflazione, potrebbero essere fatti anche dai privati e dalle imprese, che poi è l’obiettivo primario di tutti i Paesi dell’Unione Europea, e anche di San Marino. Gli scettici contestano questo obiettivo in quanto il Qe europeo, al contrario di quello americano, non dovrebbe aumentare direttamente il reddito dei cittadini europei – più ricchezza significa anche più consumi – ma aiutare sostanzialmente i bilanci degli Stati e delle banche. Se poi questi ‘aiuti’ si tramuteranno in tagli alle tasse e accesso al credito, resta ovviamente un’incognita. Una certezza, invece, potrebbe darla l’altra Ue, quella politica (se consideriamo la Bce quella economica), avviando non solo sulla carta il ‘Piano Junker’ che altro non era che un grande piano di investimenti pubblici in infrastrutture e servizi, capace di immettere liquidità nell’economia reale e non solo nei bilanci di Stati e banche. Investimenti pubblici che, comunque, grazie al minor costo per finanziare il proprio debito, gli Stati potrebbero comunque già far partire (o, nel caso dell’Italia, ri-partire). In estrema sintesi, questi investimenti pubblici, più che tassi più bassi, potrebbero garantire alle imprese ciò per cui sono nate: lavorare.

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