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Errori di genere: cliché tra web e carta stampata

da Redazione

Ordine e Fondazione dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna: il seminario. Il femminicidio, le pubblicità sessiste, i “casi” della lingua italiana.

 

di Alessandro Carli

 

Il cancelliere Angela Merkel o la cancelliera Angela Merkel? Il ministro o la ministra? E ancora: ingegnere o ingegnera, notaio o notaia, direttore o direttrice? E’ stato proprio una guida pratica alla scrittura – anche quotidiana – il seminario “Errore di genere – informazione e stereotipi”, organizzato dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fondazione giornalisti dell’Emilia-Romagna ed inserito nel percorso di formazione professionale continua e obbligatoria prevista dalla Legge.

In cattedra all’interno della sede di Confartigianato di Forlì, le giornaliste di GiULiA, Mara Cinquepalmi, Serena Bersani e Beba Gabanelli. A loro il compito di indagare il rapporto tra il linguaggio e l’informazione in quanto al primo, ha rimarcato Cinquepalmi, “viene riconosciuto un ruolo fondamentale nella costruzione sociale”. Dopo aver effettuato un escursus storico sui codici di stile e sul sessismo nella lingua italiana – le relatrici hanno ricordato i testi di Alma Sabatini, Sabino Cassese e Cecilia Robustelli – sono stati presi in esame “illustri casi” di giornalismo: “Il sindaco” (al maschile) che “ha partorito”, ma anche le didascalie che accompagnano i “colonnini morbosi” (quelli che contengono notizie da “strano ma vero” e altre “pruriginosità”) e le fotogallery “pornosoft” di tantissimi giornali online italiani, in cui la donna viene descritta non per la sua bravura ma per la sua bellezza.

L’analisi effettuata da Cinquepalmi su come la pubblicità sia sessista è chiarificatrice: il 35% delle pubblicità vede come protagonista una modella mentre nel 20% dei casi si ha una ‘grechina’, una donna decorativa. Le mamme sono solo il 5%. Una pubblicità su due l’uomo è un professionista e una su cinque ha come protagonista un modello.

La le differenze non si fermano qui. Anche nelle redazioni dei giornali le donne fanno fatica a emergere: seconda il censimento di ADS, su 65 quotidiani solamente quattro sono diretti da donne. Percentuale che cresce sensibilmente per i settimanali (43), dove l’ago della bilancia è quasi in equilibrio.

Gli errori di genere poi si sono affacciati su altri casi di uso comune: dai detti più tradizionali (“Il cane è il migliore amico dell’uomo ma probabilmente anche della donna” ha spiegato Beba Gabanelli, così come “l’abominevole uomo delle nevi aveva anche un’abominevole donna delle nevi”) alle sfumature che una parola può assumere se avvicinata a un sesso oppure all’altro (“Un ‘buon’ uomo è diversa da una ‘buona’ donna”).

Gli errori di genere affondano le radici nella storia, che tende a conformarsi alla “cultura dominante”.

Del resto il primo ministro (anzi: “ministra”) della Repubblica italiana è abbastanza recente. Le donne ricoprono ruoli di spicco nella politica da poco tempo. La prima fu Tina Anselmi nel 1976. “Spesso però – hanno rimarcato le giornaliste della Rete GiULiA – sono le stesse donne che vogliono essere chiamate al maschile, come ad esempio Susanna Camusso, forse perché nell’immaginario collettivo la segretaria è quella che porta il caffè”.

Nonostante il “femminile” possa sembrare cacofonico, Mara Cinquepalmi, Serena Bersani e Beba Gabanelli hanno esortato i colleghi presenti a utilizzarlo: “Il ‘suona male’ non sono parametri linguistici”.

Il seminario poi ha affrontato la dolorosa piaga del femminicidio. Il delitto d’onore, previsto dal “Codice Rocco”, è stato abrogato solamente nel 1981, dopo la Legge sul divorzio e dopo la normativa sul nuovo diritto di famiglia. Sino al 1981 veniva applicato uno sconto alla pena in quanto veniva contemplato lo “sfregio all’onore”.

Un tema che per la stampa può essere molto scivoloso, e non privo di insidie e di stereotipi. “Spesso l’attenzione viene riposta più sulla vittima che sul carnefice” hanno ammonito le relatrici.

Non sono pochi gli articoli che “parlano” di “fascinosa squillo” o “icona di femminilità”, o che cadono nel connubio “donne e motori”. L’esempio riportato all’attenzione dell’aula si lega proprio a quest’ultimo caso. “Alta, mora, fisico mozzafiato al volante di una Ferrari”.

Altro esempio di cronaca, quello riportato da “Il Messaggero”. Lei lo lascia, come può accadere. L’uomo abbandonato scatena la sua furia. Nell’articolo però il giornalista ha descritto la donna così: “48 anni carichi di fallimenti, tre figli avuti da due uomini”. Particolari che, hanno detto le giornaliste, “non c’entrano nulla con la violenza”. Attenzione poi alle veline dei carabinieri: le fonti vanno sempre e comunque verificate.

Non potevano poi mancare i riferimenti al giro di prostituzione di Roma Parioli, che ha visto coinvolte due ragazze minorenni. “Non si può parlare di ‘Baby-squillo’ in quanto è un ossimoro. Non erano squillo ma vittime di una violenza”.

Sui cliché che arrivano dal mondo pubblicitario, Gabanelli ha spiegato che “i maschi e le femmine sono separati sin dai colori: azzurro per lui, che appare sempre protagonista o autorevole, e rosa per lei, ridotta a gregaria o macchietta. Crescendo le cose cambiano poco: le infermiere sono sempre donne”.

In chiusura, lo sport. “In base alla Carta dell’UE sui diritti delle donne allo sport, deve esserci la stessa opportunità di essere rappresentati”, ha raccontato Cinquepalmi, che ha ripercorso le tappe storiche del rapporto tra sport e il mondo femminile, prendendo ad esempio le parole di Ondina Valla: “Avrei dovuto partecipare anche all’Olimpiade precedente, quella del 1932 a Los Angeles. Ma sarei stata l’unica donna della squadra di atletica e così mi dissero che avrei creato dei problemi su una nave piena di uomini. La realtà è che il Vaticano era decisamente contrario allo sport femminile”.

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