Modotti, la più importante fotografa italiana del Novecento, in mostra a Verona sino all’8 marzo: un viaggio nella Storia.
I lettori più attenti si sono certamente accorti che da qualche mese cerchiamo di dare spazio a una serie di mostre sulla fotografia, spesso ospitate fuori dai confini di San Marino. Non è per una forma di esterofilia, anzi: vogliamo raccontarvi anche quello che altre città propongono nell’ambito delle immagini. Immagini che da sempre si legano in maniera indissolubile al giornalismo e all’informazione.
Ospitiamo sempre eventi di spessore, che hanno una vocazione internazionale. E che vorremmo vedere anche sul Titano. Su questo numero parliamo di un’iniziativa dedicata a una donna, forse la più apprezzata fotografa italiana del Novecento: Tina Modotti. La mostra, al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri di Verona, rimarrà aperta sino all’8 marzo 2015.
Fotografa, attrice, musa di artisti e poeti, attivista politica, Tina Modotti è stata una delle personalità più eclettiche del panorama artistico del secolo scorso.
La mostra, realizzata da Cinemazero e curata da Riccardo Costantini, ripercorre l’intera vita di Tina e ne ricostruisce sia la sua straordinaria esperienza artistica – che la vide prima attrice di teatro e di cinema in California, e poi fotografa nel Messico post-rivoluzionario degli anni venti – sia la sua non comune vicenda umana.
Una fotografia sempre calibrata e meditata, con bianchi e neri pastosi ma estremamente vari nelle tonalità, frutto di lunghe riflessioni ed esperimenti. Nuclei definiti e coerenti che tracciano la linea di ricerca della fotografa, declinata in fasi e temi diversi: “Stadio” (Messico, 1925) e” Serbatoio n. 1″ (Messico, 1926) testimoniano l’attento lavoro per catturare i volumi, enfatizzati da tagli prospettici rigorosamente geometrici, a cui fa da contraltare l’ammorbidirsi delle linee delle nature morte come “El Manito” (Messico, 1924) o la celeberrima “Calle” (Messico, 1924 ca.), dove il contrasto tra luce e ombra dona una concretezza quasi carnale agli still life. Nei ritratti della stagione messicana l’immagine si concentra sul soggetto umano, con tagli inusuali volti a marcare la dimensione emotiva, parallela al suo impegno politico, umano e sociale a fianco dei protagonisti, ben rappresentato da fotografie come” Julio Antonio Mella sul letto di morte” (Messico, 1929) e “Bambina che prende il latte” (Messico, 1926) o dal famoso scatto della “Marcia di campesinos” (Messico, 1928). Fondamentale, per completare la panoramica su questa figura, è la serie di suoi ritratti fatti dal compagno Edward Weston, dove la forza dirompente della presenza fisica della Modotti ne dichiara anche la consapevolezza e l’aderenza totale a una precisa idea del “fare fotografia”, come testimoniano “Tina che recita” (Messico, 1924) e “The white iris” (1921), portando a una rara disinvoltura da una parte e dall’altra dell’obiettivo. Un cammino che educa l’occhio dello spettatore contemporaneo, riportandolo alla misura calibrata e meditata che caratterizza tutta l’opera della Modotti, cogliendo la forza caratteristica della fotografia: il suo non voler essere a tutti i costi “arte”, ma il suo dover essere qualitativamente valida per raccontare al mondo gli infiniti aspetti della vita.
Un percorso teso a mappare l’evoluzione della sua vicenda, dagli affetti familiari ai suoi amori; dai primi scatti – influenzati dal compagno Edward Weston – alle ultime rare e poco conosciute foto scattate a Berlino, quando ormai la fotografa ammetteva l’impossibilità di continuare la sua carriera con strumenti tecnici troppo moderni, che non consentivano il suo particolare approccio metodico e posato.
Un percorso di ricerca estetica e formale, che guida lo spettatore nelle evoluzioni degli stili e delle tecniche della Modotti, passando dagli still life e dagli scatti figli dell’Estridentismo del primo periodo, per arrivare – senza strappi ma progressivamente – ai ritratti delle donne di Tehuantepec, passando attraverso le immagini più politiche e “rivoluzionarie”.
E le sue parole, estrapolate dal libro “Sulla fotografia”, sono illuminanti: “Sempre, quando le parole ‘arte’ e ‘artistico’ vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo… Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni”.