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La nascita dell’agenzia Magnum

da Redazione

Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, George Rodger, “Chim”. I primi reportage in mostra al Museo del violino di Cremona.

 

di Alessandro Carli

 

L’agenzia Magnum è una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo. Fondata nel 1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger e David “Chim” Seymour. La tradizione di Magnum prevede che le immagini scattate rimangano di proprietà del fotografo Magnum e non delle riviste dove vengono pubblicate, permettendo all’autore di scegliere soggetti, temi e orientare la produzione verso uno stile più aderente a quello del fotografo e libero da vincoli.

Il Museo del violino di Cremona ha deciso di omaggiare il grande gruppo, allestendo – in un una parte dell’edificio sino al 15 febbraio – “La nascita di Magnum” -, ovvero i primissimi reportage che i “fab four” hanno preparato sotto il cartello dell’agenzia.

Una mostra straordinaria, che parla il linguaggio del mondo, quello cioè senza parole.

Sono scatti forti, sinceri, senza filtri, che ancora oggi sanno raccontare con precisione alcune pagine – rigorosamente in bianco e nero – del Novecento.

Il primo fotografo che si incontra dopo aver attraversato l’entrata è Capa. Assieme agli scatti – bellissimi e strazianti – dello sbarco degli alleati in Italia, sono in esposizione anche due “perle”: quella, davvero celebre, del soldato miliziano colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti (per alcuni è un falso storico. Crediamo invece che, per chi ha seguito i conflitti in prima linea come Capa, l’attimo possa essere davvero accaduto), e una delle “magnifiche undici” dello sbarco in Normandia. Nel giugno del 1944 l’allora giovanissimo fotografo (aveva 30 anni) fu inviato da Life per documentare le fasi di preparazione all’invasione dell’Europa.

Capa si tuffò in acqua con due macchine fotografiche, per la precisione due Contax con obiettivi 50 mm. Per circa un’ora e mezzo fermò nelle sue pellicole uno dei momenti più duri e infernali del conflitto bellico: 106 scatti. Il laboratorio incaricato di sviluppare i negativi sbagliò gli acidi. Sono undici foto si salvarono. Undici mossi, sfocati, sovraesposti. Verissimi. Undici pietre miliari del fotoreportage.

Nella seconda stanza l’incontro con la poetica africana di Rodger. Il fotografo inglese rivolge le sue attenzioni alla tribù dei Nuba, in Sudan, riuscendo a “raccontare” la vita e le abitudini di questa popolazione, soffermandosi sulle tradizioni antiche, necessarie per non perdere il contatto con le proprie radici culturali. “Ogni cosa che vedi guardando in basso, sulla lastra di vetro della tua Rolleiflex è la realtà – scrisse Rodger al figlio Jonathan -, le cose come sono. La fotografia è ciò che tu deciderai di farne di tutto questo. Guardando nel tuo mirino, quel che vedi potrà essere bello o divertente o potrà essere triste. Il tuo cuore potrà fermarsi per l’orrore di tutto ciò o i tuoi occhi velarsi di pietà o di vergogna”.

Henri Cartier-Bresson invece fu mandato in India. Sue le ultime fotografie del Mahatma Gandhi prima dell’assassinio, sue le immagini dei funerali. Come sempre, HCB pose il suo sguardo sulle persone, sul dolore collettivo di un popolo che aveva perduto la sua guida spirituale, sul senso di smarrimento. Questo reportage viene affiancato da altri scatti, che raccontano la vita e le tradizioni degli indiani: gli esercizi di stretching a cui viene sottoposto un bambino, gli sguardi magnetici di due indovini.

“Chim” invece firma uno struggente viaggio tra gli orfani di guerra in Europa, creata per Unicef: scatti toccanti, che hanno spalancato – oltre 60 anni fa – gli occhi delle persone sui tanti bambini che hanno subito il conflitto bellico.

Fotografie solo apparentemente “datate” che sanno raccontare – con una forza ancora maggiore e con una contemporaneità quasi stupefacente – i drammi di chi quella guerra non l’aveva nemmeno immaginata.

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