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Teresina e Corrado, il Natale quando era Natale: il sanguinaccio

da Redazione

Una ricetta è come la poesia: non è di chi la scrive ma di chi la utilizza. Parafrasare in italiano i racconti e le memorie pronunciate e fatte riaffiorare in dialetto sammarinese non rendono merito alla musicalità e alla bellezza delle parole di Teresina Gasperoni e Corrado Guidi.

 

Una ricetta è come la poesia: non è di chi la scrive ma di chi la utilizza. Parafrasare in italiano i racconti e le memorie pronunciate e fatte riaffiorare in dialetto sammarinese non rendono merito alla musicalità e alla bellezza delle parole di Teresina Gasperoni e Corrado Guidi. Se tradurre è un po’ tradire, indelebili e sinceri sono i loro sorrisi mentre ricordano – guardandosi – i loro Natali di oltre mezzo secolo fa, quando erano bambini.

“Il dolce di Natale era sempre il ‘sanguinaccio’ – spiega Teresina – e la ricetta che utilizzava la mia mamma prevedeva metà sangue di maiale e metà latte. Successivamente venivano grattati gli odori, cioè la scorza di limone e quella di arancia, e infine veniva aggiunto un uovo per aumentare il volume e, come si diceva una volta, ‘stringere’ l’impasto. Il preparato veniva messo su un testo e avvicinato al fuoco. Attenzione però: il calore doveva essere uniforme, sopra e sotto. Solo così il sanguinaccio veniva davvero buono”.

Teresina poi si avvicina al marito Corrado, e apre il diario dei ricordi. “Il maiale andava nutrito. Tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, quand’ero bambina, c’era la raccolta delle ghiande. Con le mie amiche andavo giù al torrente (il Marano, ndr) a cercarle sotto le querce. Avevamo dei piccoli barattoli, che una volta riempiti venivano svuotati in un sacco più grande. Una volta raggiunte le razioni per i maiali, se rimaneva qualche ghianda, veniva venduta. Mi ricordo che una volta, in pieno dicembre, ero giù al fiume. Ero piccolina. Beh, scivolai da un sasso e finii dritta in acqua. Ogni tanto – ammette la signora – entravamo nelle proprietà degli altri. Se venivi scovato, dovevi consegnare il tuo sacchetto al proprietario”.

Dal cibo per i suini alla tavola, il passo è breve. “Il sanguinaccio era solo l’ultima portata. Prima c’era la carne di maiale. O più precisamente, di mezzo maiale: la metà (l’animale veniva tagliato in maniera verticale) doveva essere data al padrone. Venivano serviti a tavola il lardo, le salsicce, le braciole e la pancetta. Quest’ultima veniva cotta sul fuoco e veniva mangiata fresca. Quando ero bambina non c’erano i frigoriferi e la carne andava conservata sotto sale. In quegli anni non si andava al macello. Anche perché (ride) era abbastanza lontano”.

Il pranzo di Natale era un autentico momento di festa, vissuto all’interno della famiglia. “Venivano serviti i ‘quadratini’ in brodo di cappone – ricorda Teresina -. Ma non intero: solo mezzo perché doveva essere diviso con il padrone. Poi c’era il cotechino, che veniva accompagnato spesso dalla polenta. I fagioli? Quelli erano a tavola da lunedì a sabato”.

Il signor Corrado guarda la moglie e poi racconta il suo Natale. “Come dimenticare i ciccioli? Erano particolarmente ambiti. Mio zio ne andava davvero ghiotto e me li nascondeva dicendo che per i bambini c’era il sanguinaccio”.

“Durante i primi anni della scuola gli alunni mettevano una letterina sotto al piatto – spiega ancora Corrado -. Venivano chiesti piccoli doni, come ad esempio dieci lire, oppure un paio di calzini, una maglietta intima”. Era una tradizione molto bella, come quella della messa. “Si andava a piedi a Faetano – interviene Teresina – a mezzanotte. Era sempre piena di persone. Oggi forse si ‘sente’ meno. Il giorno dopo, il 26 dicembre, nel piccolo teatro mettevano in scena una commedia in dialetto”.

Chiediamo a Teresina se quest’anno riproporrà il menù di Natale di quando era bambina. “Farò i cappelletti. Niente maiale quest’anno”. Forse…

Ci fermiamo qui. Perché, come dice lo scrittore Michele Marziani, “non basterebbe un libro per elencare tutto quello che si può fare con il maiale, fino ad arrivare al prosciutto, quello crudo. Il premio finale. L’ultimo a mangiarsi”.

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