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G20, Russia-Ucraina ai margini, Luxleaks al centro della scena

da Redazione

Brisbane, scambio automatico delle informazioni: già nel 2015 le prime applicazioni. In Australia ci si aspettava una presa di posizione leonina sulle vicende di Mosca e invece…

 

di Daniele Bartolucci

 

Il doppio appuntamento australiano del G20 (Cairns a settembre e Brisbane a novembre) non ha prodotto i risultati sperati sulla vicenda Russia-Ucraina, ma ha comunque dato una consistente accelerata al piano dell’Ocse contro l’elusione fiscale da parte delle multinazionali, emerso nella sua forma più scandalistica con i recentissimi “Luxleaks”, che hanno coinvolto indirettamente anche il neopresidente della Commissione Ue Jean Claude Junker.

E’ infatti la cosiddetta “ottimizzazione fiscale” oggi, a diventare il nuovo banco di prova degli Stati: se il segreto bancario è ormai stato unanimamente mandato in pensione dal 2017, il persistente utilizzo del “ruling” da parte delle aziende più importanti al mondo è diventata un’etichetta scomoda per i Paesi che lo permettono ancora.

E molti sono Stati membri dell’Unione europea, non dimentichiamolo.

 

LE AZIENDE CHE VERSANO GLI UTILI AL FISCO

In pratica la situazione attuale, fotografata dall’Ocse in estate, è la seguente: le aziende nazionali versano in media tra il 20% e il 30% dei loro utili al fisco (in Italia anche di più secondo le associazioni di categoria, ndr), le multinazionali invece, se la cavano con il 5%, grazie ad una lunga serie di stratagemmi. Oltre 400 secondo l’Ocse: dallo spostamento degli utili verso giurisdizioni a bassa fiscalità, alla creazione di società e strumenti finanziari ibridi, impiegati per sfruttare l’assenza di coordinamento tra le legislazioni dei diversi Stati, fino al transito d’investimenti diretti attraverso paradisi fiscali e l’ottimizzazione fiscale tramite “prezzi di trasferimento” artificiali, ossia i prezzi di vendita o acquisto di beni, servizi, brevetti o altre prestazioni tra società che appartengono allo stesso gruppo.

Questa disparità di trattamento, che ogni Stato decide ufficialmente per attrarre investitori, ma in pratica “a danno” degli altri, è diventata finalmente terreno di dibattito politico.

E così, dopo la presentazione a settembre delle prime misure ideate dall’Ocse, lo scorso weekend il G20 ha perorato ancora una volta tale causa, tanto che gli addetti ai lavori parlano di alcune applicazioni già nel corso del 2015, anticipando di fatto l’entrata a regime di tutte le norme, programmata entro il 2017, quando dovrà attuarsi lo scambio automatico di informazioni.

 

LA NUOVA ERA IN SVIZZERA

E i primi segni tangibili di questa “nuova era” si sono già visti, non a caso, in Svizzera.

E’ qui, infatti, che molte delle multinazionali finite nel mirino dell’Ocse hanno deciso di pagare le tasse, o per meglio dire, pagarne ben poche: nella classifica mondiale dei trattamenti fiscali più bassi, infatti, figurano in testa i vari Cantoni svizzeri. Una questione di sovranità, un tempo, una questione politica oggi: è infatti in questo nuovo contesto – di lotta ai paradisi fiscali e agli accordi fiscali segreti con le multinazionali – che anche la Svizzera ha deciso di cambiare rotta, annunciando il suo progetto di Riforma III dell’imposizione delle imprese, in cui propone di rinunciare ai regimi preferenziali.

A metà ottobre la Svizzera ha anche firmato un accordo con l’Unione europea, in cui si impegna ad abrogare i regimi contestati, a condizione che i membri dell’UE rinuncino alle contromisure previste.

 

GLI OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE

Se, quindi, l’obiettivo del G20 di Brisbane è di giungere ad una crescita del 2,1% entro il 2018, l’obiettivo del Base Erosion and Profit Shifting (BEPS), è quello di recuperare i miliardi di euro che le multinazionali “risparmiano” oggi: secondo le stime dell’Unione europea, ogni anno circa 1.000 miliardi di euro vengono sottratti solo al fisco europeo.

E’ l’Ocse stessa, infatti, a sostenere che il Beps potrebbe mettere fine ai paradisi fiscali e senza di essi, i Paesi saranno obbligati a rivaleggiare per offrire livelli di fiscalità più attrattivi per le imprese, tanto più che, se il piano Ocse metterà fine alla concorrenza nociva, la concorrenza in termini di fiscalità continuerà e – obiettivo indiretto – certi Paesi potrebbero sforzarsi di apparire più attrattivi abbassando le loro tasse.

Una strategia molto aggressiva, quindi, che si basa su un impegno comune di G20, Ue, Ocse e anche Paesi emergenti, per tutti gli strumenti utili a “tappare” le falle giuridiche che consentono oggi alle imprese di adottare le strategie per pagare le minori tasse possibili. Il disegno punta a condividere un piano di norme comuni a livello internazionale in materia di tasse in maniera da tassare il valore aggiunto e quindi gli utili delle multinazionali nei paesi in cui sono effettivamente conseguiti.

A tal fine, come ovvio, serve una maggiore trasparenza, costringendo le aziende a fornire tutte le informazioni anche sulle loro strutture fiscali in altri Paesi. Gli Stati devono poi scambiarsi queste informazioni e prestarsi spontaneamente assistenza amministrativa.

Su questo nuovo terreno, infine, andranno ricondotte ad un unico comportamento virtuoso tutte quelle “pratiche fiscali dannose” seguite da molti Stati, che offrono regimi fiscali privilegiati per attirare le multinazionali.

 

OCSE METTE SOTTO ESAME IL RULING

L’Ocse ha posto sotto esame i cosiddetti “ruling” – accordi preliminari tra Stati e aziende che prevedono tassazioni speciali – praticati ad esempio da Irlanda, Olanda e Lussemburgo; ma anche i “licence box” – regimi fiscali che impongono in maniera preferenziale i redditi derivanti da brevetti e altri beni immateriali – introdotti da Gran Bretagna, Olanda e Belgio.

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