Home FixingFixing Tre Presidenti, un unico destino: fine anticipata?

Tre Presidenti, un unico destino: fine anticipata?

da Redazione

Autunno caldo: le difficoltà politiche di alcuni dei “potenti” della Terra sotto i riflettori. L’anatra zoppa di Obama, gli scandali di Juncker e le dimissioni di Napolitano.

 

di Daniele Bartolucci

 

Quanto è difficile fare il Presidente? Se lo chiedeste oggi a uno tra Barack Obama, Jean Claude Juncker e Giorgio Napolitano la risposta non sarebbe troppo positiva.

L’autunno 2014 li ha ormai messi “nel mirino” e il loro destino pare sia ormai comune.

Il “game over” più clamoroso è quello che gli americani hanno servito a Obama nelle elezioni di metà mandato: il Congresso è ora saldamente in mano ai Repubblicani del Grand Old Party (Gop) mentre il Presidente, come noto, è il leader dei Democratici e non avrà molti spazi di manovra, di qui il termine “anatra zoppa” che rappresenta bene questa situazione, galleggia ma non può muoversi. Obama, che ha già annunciato di voler collaborare con il Gop per tamponare le emergenze come l’epidemia di Ebola e la lotta all’Isis, è stato bocciato senza riserva dai suoi stessi elettori e probabilmente dovrà riporre nel cassetto i sogni politici che aveva coltivato per i prossimi anni.

Al momento è lui il capro espiatorio, ma all’interno del suo partito non tarderà la consueta “resa dei conti” e Barack non sembra avere la forza necessaria a restare in sella anche in futuro. Ma questa è la democrazia, anche se per un europeo risulta abbastanza paradossale che ci sia un Presidente con una maggioranza in Parlamento che non sia la sua ma quella opposta.

Basti pensare all’Unione Europea, dove il partito più forte, il Ppe, ha appena eletto come Presidente della Commissione il lussemburghese Jean Claude Juncker.

Eletto sì, ma forse non per molto, stante la burrasca che si è abbattuta su di lui in riferimento ai “LuxLeaks”, i presunti favoritismi fiscali contenuti nei patti segreti tra il governo del Lussemburgo e oltre 300 multinazionali nel corso degli ultimi anni, quando Juncker era alla guida del Paese (dal 1995 al 2013).

Accordi segreti, almeno fino ad oggi, siglati dalla Price Waterhouse Coopers (Pwc) e basati su una imposizione fiscale assai più favorevole che negli altri Paesi Ue per colossi come Amazon, Ikea, Pepsi e Gazprom per citarne alcuni, nonostante il regime di “trasparenza ad ogni costo” che l’Europa sta sbandierando ovunque e nei confronti di chiunque (si pensi ad esempio a San Marino).

Il problema però non è tanto il “tax ruling”, ovvero l’attirare grandi investimenti attraverso politiche incentivanti, bensì nell’utilizzare tali politiche come “aiuti di Stato”, come si sta indagando per Amazon, Fiat Finance and Trade (sempre in Lussemburgo), Starbucks (Olanda) e Apple (Irlanda). E chi deve giudicare tali situazioni? La Commissione europea sulla Concorrenza, che risponde al Presidente in carica, ovvero il neoeletto Juncker, chiamato in pratica a validare ciò che hanno già fatto emergere a Bruxelles, e quindi a censurare anche se stesso, avendo guidato quel Paese per oltre un decennio. E’ una questione di credibilità, che Juncker vede scemare dietro questo scandalo, anche se in molti si chiedono da tempo come potesse avere tanto “potere” un Paese piccolo come il Lussemburgo. Sarà un autunno molto caldo per l’ex premier: Marine Le Pen ha già chiesto le sue dimissioni e pare che su questa linea stia convergendo l’altro grande partito europeo, il Pse – di cui fa parte anche il Pd italiano – che per voce del capogruppo Gianni Pittella ha già parlato di scandalo: “Juncker deve mostrare da che parte sta. È dalla parte dei cittadini o degli evasori fiscali delle aziende?”.

Dimissioni che, invece, ha già annunciato Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica italiana al suo secondo mandato, che sarà non solo l’ultimo, ma, appunto, anche “chiuso in anticipo”. In verità Napolitano aveva già messo le mani avanti il giorno dell’elezione bis, rapportando il suo mandato alle riforme necessarie al Paese. Stupisce quindi il fatto che l’abbia ribadito in questi giorni, quando le riforme sembrano invece rallentare di fronte agli “scricchiolii” del patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Ma forse è proprio in funzione di ciò l’annuncio del Quirinale: quel patto potrebbe essere infranto, a patto che il Pd trovi un altro “alleato” in Parlamento per fare le riforme che Renzi ha annunciato. Se è – come si dice – il Movimento 5 Stelle quell’alleato, il successore di Napolitano sarà infatti la base di partenza per il nuovo patto. Di certo è che Napolitano, dopo esser passato alla storia come il primo Presidente “interrogato” dai magistrati durante il suo mandato (sulla presunta trattativa Stato-Mafia), a differenza di Obama e Junker, è l’unico che può decidere quando smettere senza che glielo chieda qualcun altro.

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