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San Marino, SLA: dalle “secchiate” di ghiaccio alla ricerca

da Redazione

Silani: “Passi da gigante con la genetica ma non c’è ancora una terapia”. Il Segretario di Stato Mussoni: “Aperti a collaborazioni internazionali”.

 

di Daniele Bartolucci

 

Se la “Ice Bucket Challenge” è servita a far conoscere la SLA al mondo, il suo scopo principale era ed è raccogliere fondi per la ricerca. Una “ricerca senza confini”, perché, come ha brillantemente illustrato il Prof. Vincenzo Silani, Direttore di Neurologia dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano, ancora oggi non si può dire con certezza se la malattia sia genetica o se in qualche modo il gene (o i geni) sia mutato. Di qui “l’importanza di studiare approfonditamente e con le più recenti tecnologie a disposizione, il maggior numero di pazienti possibile, creando un vero e proprio data base mondiale o, come punto di partenza, almeno quello mediterraneo”. La sfida è quindi ambiziosa ma, grazie a iniziative come la “Ice Bucket”, si può vincere. Proprio le “secchiate” dei sammarinesi hanno fatto da corollario al convegno “Non SLA… viamoci le mani”, svoltosi al Teatro Titano lo scorso 5 novembre: sul palco, oltre al Prof. Silani, anche il Segretario di Stato alla Sanità e Sicurezza Sociale Francesco Mussoni e il Direttore Generale dell’I.S.S. la Dr.ssa Bianca Caruso interverranno insieme a esperti in materia, quali, il Dr. Fabrizio Rasi, Direttore di Neurologia della Area Vasta Romagna, il Dr. Mirco Volpini, Neurologo dell’ISS e la Sig.ra Silvia Bartolini in rappresentanza della AISLA di Rimini.

L’evento, condotto da Sergio Barducci di SanmarinoRTV, intervallato dall’esibizione dei Maestri Luca Grassi e Marco Capicchioni con brani di musica classica, è servito a “fotografare” la situazione clinica del territorio sammarinese (una decina i casi negli ultimi anni), ma soprattutto a fare il punto sulla ricerca e i suoi possibili sviluppi futuri. “San Marino è pronta a dare il suo contributo”, ha garantito il Segretario Mussoni, “aprendo nuove collaborazioni con tutti i protagonisti della scena nazionale e internazionale, dalle associazioni alle fondazioni private, perché si riesca a trovare una cura per la Sclerosi Amiotrofica. Anche per quanto riguarda la ricerca scientifica stessa, avendo la nostra struttura sanitaria tutte le carte in regola per farlo, ora e ancora di più in futuro”.

Potrebbe quindi essere questo un terreno di prova per i nuovi asset strategici dell’Iss, oggi nel mirino della spending review, ma già votato alle nuove linee che lo stesso Mussoni ha ideato: “Non vogliamo tagliare servizi, ma mantenerli. Per farlo”, ha spiegato, “non introdurremo il ticket come in Italia, semmai un contributo educativo, ma soprattutto lavoreremo per creare finalmente nuove entrate per l’Istituto”.

E la ricerca potrebbe essere uno di questi progetti, sia per la qualità raggiunta dall’Iss sia per il numero ristretto di pazienti (per la precisione 8). Il problema resta però la ricerca di una cura a questa malattia neurodegenerativa che affligge ormai 3 persone ogni 100mila: “Purtroppo”, ha spiegato il Prof. Silani, “i pazienti procedono in maniera differente, con corsi lenti o velocissimi, ma non sappiamo cosa faccia la differenza e non possiamo stabilire se saranno veloci o lenti. E nonostante si riesca a isolare i geni mutati, ancora oggi si arriva ad una diagnosi solo dopo un anno di studio sul paziente”. E ancora: “Abbiamo uno straordinario panorama di esperienze in laboratorio, ma non si è tradotto in cure anche sperimentali. Anzi, a dire il vero, risultati importanti sono stati ottenuti sugli animali, ma tutto ciò che ha funzionato sui topi poi non ha funzionato sull’uomo, tanto che per assurdo siamo ormai in molti a pensare che ciò che non funzionerà sul topo possa funzionare, invece, sull’uomo. Al di là delle teorie, oggi con il sequenziamento del DNA abbiamo fatto passi da giganti: si è scoperto ad esempio il legame tra padri e figli o, come il caso dei Normanni, si è ricostruita una sorta di “immigrazione” o “integrazione” di geni poi rivelatisi gli stessi che abbiamo isolato come mutati o causa della SLA”. Ma resta il problema: “Abbiamo analizzato ormai diverse tipologie di geni, ma dagli anni ’70 non ho visto terapie, se non il riluzolo. L’obiettivo è quindi trovare una terapia, o, come ipotizzo anch’io, forse serviranno terapie personalizzate. Questo resta l’obiettivo mio, del mio staff e di tutti i ricercatori che stanno lavorandoci”. E sapere che anche San Marino li appoggerà in questa battaglia non può che dargli ulteriore fiducia.

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