Tre mesi – dal 15 novembre al 15 febbraio all’interno di Augeo Art Space (Rimini, Corso d’Augusto, 217) – per ammirare il nuovo progetto di Patrizia Zelano.
Tre mesi – dal 15 novembre al 15 febbraio all’interno di Augeo Art Space (Rimini, Corso d’Augusto, 217) – per ammirare il nuovo progetto di Patrizia Zelano, la fotografa che circa un lustro fa aveva vinto il “Premio SI Fest” con “In carne ed ossa”. La presentazione di Massimo Pulini, assessore alla cultura del Comune di Rimini.
Una ben nota tradizione riconduce a Michelangelo il pensiero di vedere, racchiuse entro il blocco di marmo, le forme che il suo scalpello liberò. Secondo questo principio, che in buona parte può dirsi neoplatonico, il gesto creativo coinciderebbe con la capacità di far partorire le opere. Che l’artista toscano si ponga nella postazione di una levatrice è esemplificato, in massimo grado, nei “Prigioni” che sono il gruppo di sculture in cui la forma del corpo appare solo parzialmente emersa dalla ganga minerale. Quasi che il genio fosse uno stratega di evasioni. Ma mentre le statue conservate al Museo dell’Accademia restarono intenzionalmente non finite e la loro incompiutezza è parte essenziale dell’invenzione, la “Pietà” Rondanini (Milano Castello Sforzesco), con la sua stratificazione di tentativi abbozzati, è la sincera testimonianza di ripetuti piani di fuga non andati a buon fine e anche l’ultimo assalto alla galera di pietra giunse fuori tempo massimo, facendo coincidere la morte dell’artista con la mancata resurrezione del Cristo che Michelangelo tentò di estrarre fino al 18 febbraio 1564. Credo che la fotografia abbia a che fare, ancor più credibilmente della scultura, con questo atto maieutico, che porta l’artista a sgravare la realtà (o forse la vita stessa), da un’immagine della quale era pregna. Vi sono fotografi che, per propria scelta, si ‘limitano’ a essere dei periti di ostetricia, mentre altri risultano anche responsabili di una inseminazione che sta a monte di quella gravidanza. Esiste una fotografia che estrae un attimo dal tempo, un momento che comunque sarebbe esistito, che tuttavia se non fosse stato raccolto si sarebbe dimenticato, sommerso come una goccia d’acqua nella pioggia dell’esistenza, ma esiste anche una fotografia che fa accadere, per propria intenzione, quel che viene partorito. Un accadimento plasmato che trova ragione d’essere quasi solo in virtù del suo imprigionamento in un’immagine. Si, mi accorgo ora, quanto il termine ‘catturate una immagine’, sia diametralmente opposto al senso della liberazione e della nascita che ho cercato di restituire, ma il campo artistico è disseminato di ossimori. Basti pensare che ‘dar vita’ e ‘immortalare’ possono divenire sinonimi, così come ‘inventare’ e ‘trovare’ lo sono fin dalla loro etimologia. In questo ciclo di commoventi opere è difficile dire se Patrizia Zelano prenda il posto della levatrice o quello di chi impollina il fiore del tempo. Quello di chi modella gli eventi o che ferma il corso delle cose. Arduo stabilire quale danza ha intrattenuto col caso e quali condizioni abbia predisposto perché fortuna ballasse con lei. Più di arrestare un momento mi sembra che quel grande lenzuolo di plastica venga messo a disposizione dell’aria, perché renda visibile le forme imprigionate al suo interno. Allora torna utile l’esergo della poetessa cesenate Mariangela Gualtieri, che ci fa comprendere l’elemento aereo come una sostanza avente memoria delle vite, di tutti gli esseri che l’hanno respirata e risputata, accarezzata o calciata, annusata e starnutita. Così, andando sulla sommità di una collina dietro casa, portandosi in spalla due occhi che sappiano osservare, un cuore che faccia il suo lavoro restando in gabbia e una lucidità sintattica che dosi come si deve ombre e luci, una grammatica che stabilisca tempi e misure, è forse possibile imprigionare il momento in cui il mondo sta partorendo la propria memoria.