Home FixingFixing Crisi, effetto domino: rallenta anche l’export della Germania

Crisi, effetto domino: rallenta anche l’export della Germania

da Redazione

L’economia di Berlino, dopo un avvio positivo, si è contratta nel secondo trimestre 2014. Anche Roma non sorride: nei primi nove mesi sono fallite oltre 10 mila imprese.

 

di Daniele Bartolucci

 

La “locomotiva tedesca” inizia a rallentare vistosamente e per il sesto mese consecutivo cala anche l’Ifo, ovvero l’indice che misura la “fiducia” degli imprenditori costruito attraverso un sondaggio tra 7mila imprese tedesche.

L’economia tedesca, infatti, dopo un avvio 2014 positivo, si è contratta nel secondo trimestre e secondo le ultime stime – ma anche per gli imprenditori stessi – crescerà a un passo molto lento anche nella seconda parte dell’anno. Gli ultimi dati relativi a ordini industriali, produzione ed export segnalano all’unisono una forte frenata del Pil, il cui valore indicizzato al terzo trimestre verrà ufficializzato dall’Istituto federale di statistica solo il prossimo 14 novembre (nel frattempo, un sondaggio Bloomberg del 9 ottobre aveva comunque segnalato una crescita dello 0,3%).

Al di là delle anticipazioni e delle teorie più o meno scientifiche, è facile comprendere le motivazioni di questa contrazione: l’economia tedesca è assolutamente dipendente dai mercati internazionali, facendo leva sull’export che era ed è l’asset fondamentale di tutte le industrie tedesche. In un momento complicato come quello attuale, infatti, diventa molto difficile anche per queste imprese posizionarsi in contesti assolutamente negativi, dall’instabilità politica in Medio Oriente alle crisi dei Paesi dell’America latina (dal default annunciato – l’ennesimo in verità – del Venezuela, alla frenata del Brasile), fino alle sanzioni alla Russia, che è un partner commerciale di tutto rispetto per Berlino. Come lo è l’Italia.

Proprio dal Belpaese arrivano altre conferme sul perché la Germania esporta sempre meno: in soli nove mesi sono “fallite” oltre 10mila imprese lungo lo stivale, più di mille al mese. Un numero impressionante che nella rilevazione di Unioncamere di questi giorni fa da contraltare a un dato, invece, che dovrebbe essere positivo in questo contesto: ovvero che il bilancio demografico dei mesi estivi fra le imprese nate (72.833) e quelle che contemporaneamente hanno dichiarato la cessazione delle attività (56.382), si è risolto con un saldo attivo pari a 16.451 unità, quasi 4mila unità in più rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno. Un dato positivo, che però, la stessa Associazione delle Camere di Commercio italiane raffredda subito, ricordando che il tasso di crescita del periodo (+0,3%) è comunque il risultato del più basso volume di iscrizioni rilevate nel terzo trimestre dell’anno dal 2005. E comunque, spicca quel 19% di fallimenti in più rispetto ai primi nove mesi del 2013, quando già si parlò di record italiano, ovviamente negativo.

Due situazioni differenti, quella italiana e quella tedesca, che però appaiono strettamente legate tra loro, molto più di quello che i due Governi lascino intendere. Così come le soluzioni e le prospettive che si stanno delineando in questo periodo: da una parte la spinta di alcuni socialdemocratici in seno alla Grande Coalizione perché la Cancelliera Angela Merkel avvii un nuovo piano di incentivi alle imprese, dall’altra il Governo di Matteo Renzi alle prese con le riforme interne (quella del lavoro soprattutto) in parallelo con il semestre europeo che vede proprio l’Italia nel ruolo di capofila. Anche se da posizioni iniziali diametralmente opposte, i due Paesi oggi vivono lo stesso problema (e con loro anche altri Paesi dell’Unione Europea) e forse, spinti dalla comune necessità di rilanciare impresa e lavoro, potrebbero finalmente concordare un’azione condivisa, dati alla mano non più procastinabile.

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento