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Elzeviro: Emir Kusturica, quando la musica si fa ridendo

da Redazione

Scordatevi i tristissimi cantautori con l’aria malinconica e finta, che si struggono per le note altissime e per i passaggi più spleen.

 

di Alessandro Carli

 

Emir Kusturica insegna una cosa: la musica si fa ridendo. Scordatevi i tristissimi cantautori con l’aria malinconica e finta, che si struggono per le note altissime e per i passaggi più spleen. Quella che suona l’artista – anzi: che ha suonato l’artista, che il 24 ottobre ha aperto dalle assi del Teatro Turismo la terza edizione di San Marino Film Festival – ha un approccio allegro, contagioso. Gioca con le note, Kusturica, e alterna la chitarra alla batteria, mentre i suoi compagni di viaggio scherzano con gli strumenti. C’è un violinista, uno bravo davvero, che sale sul palco avvolto da una tunica, e sembra un clown, ma poi quando si mette a sfregare l’archetto sulle corde di quella strana composizione di legno amata da Man Ray, fa cose pazzesche, che ti fanno sgranare gli occhi.

Ma forse il vero segreto è tutto in quella coda che Kusturica ha attaccato al suo gruppo: no smoking orchestra. Nessun abito di gala, lustrini e code da pinguino. La musica va fatta in comodità, con vestiti casual, e un sorriso da gatto del Cheshire.

Il concerto che Emir ha donato al Titano non è un concerto: è una festa.

Il pubblico è salito sul palco, ha ballato, tanto e a lungo, con lui, ha danzato con lui.

Dev’essere per quella storia che si porta addosso, quella sua ‘matria’ – la mamma-patria in terra slava – straziata dalla guerra, e quell’effetto consolatorio, lieve, di aggregazione che hanno le note. Si balla, eccome si balla, la musica è leggerezza, è una campana di vetro che lascia fuori il sibilare delle bombe, le lacrime delle famiglie, il bisogno di sublimare le parole, i pensieri, le notti senza luce in sonorità. C’è amore, in Kusturica, quando indossa un cappello e ricarica la batteria, e dialoga con i suoi musicisti, oppure parla – in un inglese bello – alla platea.

Suona, suona, suona, Emir. Oppure siamo perduti.

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