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San Marino, Francesca Michelotti risponde alle accuse lanciate da Marco Podeschi

da Redazione

Durante la registrazione della puntata di “Palazzo Pubblico” mandata in onda giovedì scorso da San Marino RTV, Marco Podeschi ha lanciato ripetutamente contro di me un avvertimento sibillino: “Si ricordi consigliere Michelotti, lei era segretario alla giustizia quando La Pietra scappò dal carcere”, adombrando chissà quali mie responsabilità o colpe su quel fatto.

Oggi tutti mi criticano perché ho manifestato con troppa veemenza la mia contrarietà ad un attacco che è stato pura e semplice calunnia. Non mi scuso, né per la veemenza né per la contrarietà motivata da due ragioni: anzitutto mancavano due minuti alla fine della trasmissione e non avrei avuto nemmeno il tempo di chiarire chi era La Pietra, figuriamoci di raccontare come fossero andate le cose; poi la fuga del pedofilo La Pietra resta per me una ferita ancora aperta perché fu una intollerabile beffa ai danni di un ragazzino abusato di 11 anni, della sua famiglia, e del nostro Tribunale, che aveva assicurato alla giustizia un uomo macchiatosi di un crimine ripugnante.

E’ vero, il pedofilo La Pietra evase dai cappuccini nel giugno del 2001 quando ricoprivo l’incarico di Segretario di Stato alla Giustizia, ma non ero io responsabile della custodia del carcere, compito che spettava invece al segretario di stato per gli affari esteri Gabriele Gatti.

La Pietra godeva di insospettabili protezioni, in sua difesa si erano schierati un vescovo, un ambasciatore, personalità con relazioni importanti, addirittura un autorevole giornale nazionale italiano gli aveva dedicato un articolo denunciando chissà quali violazioni dei diritti della difesa, infine il detenuto giocò la carte dello sciopero della fame. Tutte panzane, La Pietra era colpevole e la sua colpevolezza ampiamente e incontestabilmente provata in sede giudiziaria.

Poi scappò e nella seduta del Congresso di Stato immediatamente successiva Gabriele Gatti non solo minimizzò l’accaduto, ma ammise candidamente di avere saputo in precedenza dei suoi propositi di fuga dei quali si era ben guardato dall’avvisare la sottoscritta. Per quali ragioni non mi avvisò o non avvisò il congresso di stato? Perché afflitto da un’insana superficialità, o da amnesia, oppure perché non voleva che si prendessero delle contromisure efficaci per sventare l’evasione?

Non potei fare altro che persuadere il congresso di stato a disporre una indagine amministrativa i cui risultati accertarono modalità rocambolesche ben difficili da realizzare nell’arco di una sola notte, senza fare rumore e senza destare sospetti.

I sospetti li avevo avuti io, subito, all’indomani della fuga, dopo una telefonata con Gabriele Gatti nella quale era incorso in una involontaria rivelazione. Vi assicuro che non lasciai passare nemmeno sessanta minuti per comunicare doverosamente sospetti e rivelazione all’autorità giudiziaria. Purtroppo, nonostante il paradigma indiziario per me fosse coerente, non si riuscì a costruire un quadro probatorio sufficientemente forte da prefigurare per Gatti il reato di complicità nella fuga.

Resta la responsabilità politica di Gabriele Gatti, la sua trascuratezza, il suo delirio di onnipotenza e il disprezzo per la giustizia e per gli alleati di governo che gli facevano resistenza.

Mi rivolgo a Marco Podeschi, come posso ritenermi responsabile, o complice o colpevole di un fatto che ho subito, che mi ha umiliato come segretario di stato, e del quale caso mai mi sento parte lesa.

E’ facile comprendere le ragioni di Podeschi per sollevare polveroni, tuttavia lanciare sospetti infamanti e infondati su persone innocenti è sempre sbagliato.

 

Francesca Michelotti

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