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Gran Bretagna, il Regno (forse) non più Unito

da Redazione

La Scozia è chiamata alle urne per diventare una Nazione indipendente. Per Giorgio Squinzi esiste il “rischio” di effetto-domino in Europa.

 

Durante la tavola rotonda che ANIS ha organizzato il 12 settembre al Centro Congressi Kursaal sulla riforme per lo sviluppo del Paese (alla giornata voluta dagli Industriali abbiamo dedicato quattro pagine di San Marino Fixing di questa settimana), non è mancato un accenno all’imminente referendum che chiamerà la Scozia a dedicare del proprio futuro. Sull’argomento è intervenuto Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria che, dopo aver confermato anche alla platea sammarinese la propria anima “europeista”, si è soffermato sul futuro dello Stato dell’UK: “Il rallentamento dell’economia reale è ormai percepibile in tutti i Paesi, forse con la sola eccezione dell’Inghilterra per il momento. Vediamo che cosa succederà con il referendum della Scozia”. In estrema sintesi, secondo Squinzi c’è il rischio di un effetto-domino che potrebbe allargarsi “alla Catalogna, alle Fiandre e ai Paesi Baschi”.

IL QUESITO

Oltre 15 anni fa l’ex Premier inglese Tony Blair lanciò la famosa “devolution”: in quell’occasione la Scozia ottenne un Governo e un Parlamento autonomi. I circa 5 milioni di scozzesi dai 16 anni in su (l’età legale è stata abbassata solo per questa tornata referendaria) che dovranno rispondere a una domanda apparentemente molto semplice (“Should Scotland be an independent country?”; la traduciamo in maniera snella in questo modo: “Vorrebbe che la Scozia diventasse un Paese indipendente?) sono chiamati a dar seguito al processo lanciato da Blair e successivamente portato avanti da David Cameron.

C’È CHI DICE SÌ

Gli indipendentisti, sentendosi come Braveheart, si mettono la mano sul cuore: “La Scozia si è sempre sentita una nazione” sostengono da tempo. Già. Ma come sostenere l’economia del Paese, visto che certamente Londra non preparerà una cheese cake? I “leghisti” scozzesi sono sicuri che si potrà crescere ottimizzando le risorse della Nazione, a partire dal petrolio, per realizzare una società più ricca e più giusta, sul modello scandinavo.

Già, il petrolio. Come accade spesso, molte decisioni si muovono attorno all’oro nero: il Mare del Nord ne ha tantissimo, scatenando molte previsioni: che tenuta hanno i giacimenti? Quanto se ne può estrarre? E soprattutto, per quanto tempo? C’è chi sostiene che entro il 2040 verranno esauriti, e chi – e gli indipendentisti appoggiano quest’ultima teoria – ha ipotizzato che nel Mare ci siano ancora oltre 100 giacimenti da scoprire.

Il naso di quasi tutta l’Europa è rivolto all’insù. Anche in Italia. Non ha perso l’occasione di cavalcare l’onda secessionista il leghista Matteo Salvini: “La Scozia? Speriamo nel sì all’indipendenza. Pronti anche Veneto, Piemonte e perché no Sardegna e Sicilia”.

C’È CHI DICE NO

Ha destato scalpore e in parte sdegno le parole che – fonte Times – la Regina Elisabeth II ha pronunciato davanti alla chiesa di Crathie Kirk: “Spero che la gente penserà con molta attenzione al futuro”, ma forse neppure più di tanto. Se andiamo a leggere i risultato del sondaggio realizzato dal Sunday Telegraph fra i presidenti delle 100 maggiori società quotate sulla Borsa di Londra si scopre che per quattro su cinque l’indipendenza avrà “effetti negativi per il Regno Unito”.

Londra proprio non ci sta, anche se – aplomb inglese – non lo dice apertamente. Però ha già preso il pallottoliere e ha fatto due conti. Per la City la Scozia dovrà quasi certamente abbandonare la sterline ma soprattutto (anche se è da verificare) molti istituti bancari sposterebbero poi la sede a Londra, riducendo di netto i 466 miliardi di sterline di attività finanziarie oggi ospitate dal Paese. Una stilettata poi all’orgoglio scozzese: l’industria del whisky, che oggi vale 5,5 miliardi di euro l’anno, pagherebbe di più la materia prima importata dalla Unione europea. Scetticismo che anche nel Vecchio Continente ha una vasta eco. Per William Murray, portavoce del FMI, “la vittoria del sì solleverebbe una serie di questioni complicate e l’incertezza sulla transizione dal punto di vista del quadro monetario, finanziario e fiscale potrebbe provocare la reazione negativa dei mercati”.

I “SÌP” E I “NOP”: LE POSIZIONI DEI VIP

Occasione troppo ghiotta, quella del referendum, per lasciarsela scappare. Così, da pulpiti diversi, i vip non hanno mancato di esprimersi sulla questione Scozia, forti della loro capacità di influenzare, in quanto personaggi pubblici, i giudizi dei cittadini.

Tra i “sìp” spicca Dame Vivienne Westwood che dalla passerella del London Fashion Week ha detto che “la Scozia indipendente è il punto di svolta verso un mondo migliore”. Per la Westwood la Scozia “può dare l’esempio e segnare un grande giorno per la democrazia”.

Non poteva poi mancare l’agente 007 più famoso del mondo: Sean Connery: “E’ un’opportunità da non perdere. La vittoria del sì catturerebbe l’attenzione del mondo: avremo un’opportunità senza precedenti per promuovere il nostro patrimonio culturale e la nostra eccellenza creativa”.

Il fronte del no si è già schierato compatto: Mick Jagger, Sting, David Bowie e David Beckham e molti altri hanno firmato una petizione che recita: “Ciò che ci unisce è molto più grande di quello che ci divide. Rimaniamo insieme”.

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