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Pensionati al lavoro: la porta resta chiusa

da Redazione

Facciamo chiarezza sulla “sentenza destinata a fare giurisprudenza”. Il giudice non ha “stravolto” la legge: niente aiuto a figli o nipoti.

 

di Loris Pironi

 

Si è tanto discusso, nelle ultime settimane, attorno a una sentenza del giudice amministrativo che ribalterebbe (qui siamo costretti a utilizzare il verbo al condizionale, noi che non ne abusiamo mai) il senso della legge attuale per aprire la porta alla possibilità, per i pensionati, di lavorare nelle attività dei propri figli o nipoti senza perdere il diritto alla propria previdenza.

Una sentenza, si è detto addirittura, destinata a “fare giurisprudenza”.

Poiché sul momento siamo rimasti perplessi di fronte a questi articoli di stampa e alle conseguenti roboanti prese di posizione (spiccavano in particolare quella di OSLA e del Pdcs), poiché ci pareva francamente impossibile che fosse realmente quella l’interpretazione prospettata, siamo andati a leggere il testo della sentenza.

Non è neppure servita una prima attenta lettura del testo per rendersi conto che le cose stavano molto diversamente. Poi naturalmente abbiamo approfondito la questione.

 

Il riepilogo


Per chi si fosse perso la puntata precedente – in agosto qualcuno va ancora in vacanza – a inizio agosto è finita sui giornali una sentenza del Giudice Amministrativo d’Appello Guido Guidi. Il fatto riguardava le sanzioni inflitte dall’Ufficio del Lavoro, e la conseguente sospensione del trattamento pensionistico al padre di una commerciante, sorpreso durante un controllo mentre si trovava a svolgere alcune attività nel negozio della figlia.

Il Commissario della Legge ha deciso di ritenere esaustive le spiegazioni e le giustificazioni dell’uomo, ed ha deciso di annullare il provvedimento. Da qui le letture, alquanto forzate, pervenute a commento della sentenza, che vorrebbero confermare la possibilità per i pensionati sammarinesi di contribuire con la propria opera alle attività imprenditoriali di famiglia.

 

La vera lettura

 

Perché solleviamo l’attenzione su questo caso? Il discorso è molto semplice. Perché una simile lettura, che va in direzione opposta all’interpretazione corretta della sentenza, se solleva l’attenzione su una questione sentita, rischia di ingenerare confusione. E di produrre conseguenze nei confronti di chi, ingenuamente e in buona fede, fidandosi di quanto letto sui media, rischia di perdere la propria pensione.

Come si evince leggendo la sentenza (vedi box qui sotto) il giudice ha dato ragione al pensionato proprio perché ha dimostrato che non stava svolgendo un’attività legata a quella dell’impresa, ma un lavoro di manutenzione all’immobile, di cui peraltro era comproprietario.

Ciò significa che il giudice non ha inteso aprire neppure un minimo spiraglio alla possibilità di operare nell’ambito della cosiddetta “solidarietà familiare” e che dunque chi, pensionato, parente o meno peraltro, venisse sorpreso a lavorare, verrebbe inevitabilmente sanzionato dall’Ispettorato del Lavoro.

 

Riflettere sul problema


Ma una riflessione sul problema della difficile gestione delle micro attività a carattere familiare, a San Marino come in Italia, va comunque fatta. Chi conosce il mondo del commercio sa molto bene che gestire un piccolo negozio senza ricorrere all’onere dell’assunzione di un commesso o una commessa richiede sacrifici che vanno oltre il limite. Significa dover chiudere la porta quando si è costretti ad assentarsi, l’impossibilità di ammalarsi, il dover arrangiarsi dietro le mille incombenze amministrative senza un aiuto. D’altro canto il legislatore deve stare molto attento a evitare di aprire la porta all’abusivismo, al lavoro nero, anche perché contestualmente si parla di pensioni, e come Fixing ha raccontato a più riprese il fondo previdenziale sammarinese è già ampiamente sotto pressione.

Certo, da qui a ribaltare il senso di una sentenza in questo modo ce ne passa…

 

 

Ricorso accolto: “Non svolgeva attività legate alla ditta”


Proviamo a scorrere il testo del giudice. La verifica da parte degli Ispettori dell’Ufficio del Lavoro era stata compiuta lo scorso 11 aprile e il 13 maggio sono giunte le ingiunzioni di pagamento da parte del Dirigente del medesimo ufficio. La seguente motivazione era la seguente: “il sig. (omissis) al momento del controllo stava lavorando all’interno del negozio e precisamente stava sistemando degli oggetti negli scaffali, esercitando pertanto attività lavorativa irregolare…”
Il 30 maggio è stato depositato il ricorso da parte dell’avvocato del pensionato in cui si chiedeva di revocare il provvedimento e si spiegava “l’altra” versione dei fatti.
Il padre-pensionato era comproprietario dei locali del negozio della propria figlia e stava lavorando per risolvere il problema di un’infiltrazione d’acqua, tanto da averlo costretto a sostituire un trasformatore sopra la vetrina. Al momento dell’ispezione l’uomo non stava dunque svolgendo attività commerciale, trattando con clienti o vendendo merce, e al momento dell’ispezione – viene evidenziato ancora nel ricorso – era presente nell’area vendita una commessa.
Il giudice Guidi ha stabilito che le motivazioni del ricorso erano plausibili in quanto se la presenza dell’uomo nei locali dell’attività commerciali della figlia poteva essere “dettata da una serie di ragioni non necessariamente riconducibili all’esercizio di attività lavorative illecite”. Senza contare che il fatto di sistemare degli oggetti negli scaffali significa che “stava svolgendo una qualche attività lavorativa non necessariamente connessa all’attività commerciale della ditta” ma si stava “occupando soprattutto di adempimenti connessi alla manutenzione dell’immobile”.
Ecco perché sosteniamo che una lettura del provvedimento non solo smentisce, ma strapazza tutte le forzate interpretazioni di chi la vorrebbe intendere come una sentenza a favore dei pensionati-lavoratori nelle attività imprenditoriali di figli e nipoti.

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