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San Marino, l’Inconsapevole viaggio nel cuore di un cantiere

da Redazione

Il cantiere è quello di Palazzo Onofri: una mostra fotografica lo racconta. Per i soci dell’ANIS e i visitatori circa 300 scatti decisamente suggestivi.

 

Un cantiere lungo 5 anni, racconto fotografico nato quasi per caso, a suggellare un’infinità di scatti “inconsapevoli” realizzati per tutt’altro motivo che quello artistico.

Si chiama “Inconsapevole” la mostra inaugurata lo scorso 21 luglio e per il momento ancora senza “data di scadenza” all’interno della nuova sede dell’Associazione Nazionale dell’Industria Sammarinese, quel Palazzo Onori che nel corso dei lavori di restauro e ristrutturazione è stato appunto nel mirino dei diversi fotografi: architetti, geometri e giornalisti.

La possono ammirare i soci ANIS e chi si trova a capitare, per un motivo o per un altro, presso la sede degli Industriali.

Le foto sono state scattate dai tecnici che hanno lavorato al cantiere: Ezio Bollini, Maurizio Grassi e Nadia Pistoleri e da Alessandro Carli e Loris Pironi di San Marino Fixing. Migliaia di click raccolti e selezionati dai curatori dell’iniziativa, Martine e Augusto Betiula.

Ne è scaturita un’esposizione su un doppio binario. Da un lato una sezione più tradizionale, con le immagini di Carli e Pironi, una trentina circa, stampate in grande formato (60×40 e 75×50 centimetri) e appese sui muri dei lunghi corridoi dell’associazione. Si tratta di fotografie che hanno colto alcune visioni d’insieme (ad esempio la parte interna del palazzo letteralmente sventrata a inizio lavori) e tanti dettagli (giochi di colori e di riflessi), oltre all’impegno delle maestranze che sono state impiegate in una delle opere più poderose degli ultimi anni, sul Titano.

La seconda sezione invece è multimediale e comprende tutte le più belle immagini – circa 280 – realizzate dai tecnici che hanno lavorato al cantiere: Ezio Bollini, Maurizio Grassi e Nadia Pistolesi. Qui il percorso si dipana lungo una via cronologica e comincia addirittura nel 2007, due anni prima dell’apertura del cantiere quindi, durante le prime ricognizioni.

 

 

IL PUNCTUM E LA MIOPIA


Un mio difetto fisico (la miopia), sedendosi alle rive di uno dei tanti ruscelli da cui si abbevera l’arte, si è trasformato in una sorta di firma, di fil rouge che – più o meno inconsapevolmente – attraversa il mio modo di vedere (e fermare in una macchina fotografica) il mondo.

Nonostante gli occhiali (lenti, come lenti si chiamano anche quelle che vengono montate sui corpi macchina), gli oggetti e i soggetti che catturano la mia attenzione sono quelli più vicini agli occhi. Quell’universo che si ritaglia in secondo piano, inevitabilmente, mi risulta quasi sempre sfocato. Questo difetto (uno dei tanti, chiaramente) è alla base delle fotografie che compongono questa mostra: grazie ai consigli e agli incoraggiamenti dei miei colleghi, negli anni sono riuscito a ritagliarmi un po’ di tempo per seguire l’evoluzione dei lavori di ristrutturazione dell’ex INFAIL, oggi sede dell’ANIS e di San Marino Fixing.

A qualche scatto d’insieme, ho alternato la ricerca dei particolari, di quello che Roland Barthes chiama “punctum”. Piccoli accenni, oggetti fermi che, nella loro staticità, mi sapessero suggestionare e raccontare il “non visto”. Una fotografia non deve svelare tutto: deve essere una porta d’accesso alla fantasia, all’immaginazione. Le immagini sono state pensate come un libro senza parole (il greco, in questo caso, mi viene incontro: “fotografia” difatti significa “scrivere con la luce”) ma pieno di storie.

Il punctum, per me, è il particolare: il gioco di luci attraverso uno specchio o un vetro (l’Alice di Carroll è maestra e portatrice di grin), un appunto scritto velocemente su un nastro di carta adesivo, una danza di luci all’imbrunire che disegnano, su un muro, fantasie e nuove tonalità. Ci sono voragini, picchi verticali, macerie e gesti, utensili, segni tracciati con un pennarello nero. E le persone, impegnate a sistemare l’edificio. C’è – fish eye mentale – uno sguardo sull’archeologia industriale, un’indagine sull’architettura del Ventennio. E due occhi, e soprattutto un paio di occhiali.

Alessandro Carli

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