Home FixingFixing Valle di Sant’Anastasio, le proprietà terapeutiche del dott. Badaloni (1880)

Valle di Sant’Anastasio, le proprietà terapeutiche del dott. Badaloni (1880)

da Redazione

Il luogo dove scaturiscono le acque è “un bacino” a forma “di triangolo irregolare”, che nei lati “viene limitato da due ruscelli, i quali vanno a versarsi nel fiume di S. Marino”.

 

di Alessandro Carli

 

La Repubblica di San Marino, in passato, ebbe un turismo salutista. Tra i testi di maggior spessore, spicca il volumetto, 105 pagine, scritto dal dottor Giuseppe Badaloni oltre 100 anni fa e intitolato “Guida medica alle acque minerali di San Marino volgarmente dette della valle: con indicazione delle proprietà fisiche, chimiche e terapeutiche delle singole sorgenti corredata di una carta topografica” (Tip. Succ. Monti, 1880).

Nel suo libro Badaloni scrive che le acque minerali “di S. Marino” erano “di gran pregio fin da molti secoli”, citando “gli scritti del celebre Baccio” e sottolineando che “ben meritamente oggi” (il libro è del 1880, ndr) sono “frequentatissime perché, oltre alla loro eccellente costituzione chimica, hanno varia natura e quindi sono atte a curare numerose infermità”.

Nonostante sia ubicato a pochissimi chilometri dai confini di Stato (Badaloni, come anche Gaetano Dehò, segnala solamente tre chilometri), la Valle è conosciuta “per il luogo delle acque di S. Marino, dove non pochi visitatori soggiornano per giovarsi della cura delle acque minerali”.

Il luogo dove scaturiscono le acque è “un bacino” a forma “di triangolo irregolare”, che nei lati “viene limitato da due ruscelli, i quali vanno a versarsi nel fiume di S. Marino”.

L’autore poi si sofferma su quando recarsi alla Valle: “La stagione più propizia per la cura delle acque minerali di S. Marino è quella del massimo calore (del sole di Leone), ossia dal Luglio alla fine di Agosto”. Negli altri periodi dell’anno, chiarisce Badaloni, le acque “sono quasi prive di virtù medicinali”.

Curioso inoltre il modo per attingere alle acque, che escono dal terreno alla temperatura di 12 gradi centigradi. “Esse non sgorgano naturalmente dal suolo, ma conviene cercarle. La pratica sempre tenuta fin dall’antichità è la seguente: nel terreno oltremodo arido, si scorgono nei mesi estivi delle macchie umide, le quali corrispondono a una sorgente; allora con una pala o vanga si scava per la profondità di 50-70 centimetri e si formano delle buche. Siccome le acque non zampillano ma filtrano dalla terra quasiché da essa trasudassero, conviene lasciare le buche in riposo per 5 o 6 ore, dopo le quasi si troverà una sufficiente quantità d’acqua limpida e fresca, che è l’acqua da usare per la cura”.

Le malattie che potevano essere sconfitte dalle acque erano moltissime: la clorosi, l’anemia, la scrofola, la gotta, l’obesità (era considerata una malattia), la dispepsia (la funzionalità alterata dello stomaco), la congestione cronica del fegato, la lucorrea, la calcolosi epatica.

E’ buon precetto, scrive il dottore, “far uso delle acque minerali di S. Marino nelle prime ore del mattino”.

Sui quantitativi, l’autore evidenzia che “si può ritenere che la dose massima delle acque di S. Marino sia di quattro litri e mezzo al giorno”.

Oggi, cos’è rimasto di quell’antico centro? Siamo andati sul luogo.

Nella zona abbiamo trovato solamente uno stabilimento per l’imbottigliamento dell’acqua, commercializzata con l’antico nome di “Acqua Minerale di San Marino”.

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