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Confindustria Italia: proposte per il mercato del lavoro

da Redazione

Tra i fattori più frenanti spiccano le regole. Si deve recuperare un notevole divario competitivo.

 

L’Italia soffre di lenta crescita ormai da molti anni. La crisi ha accentuato l’arretramento del reddito e del benessere, trasformandolo da relativo agli altri paesi in assoluto. In particolare, il Paese appare meno adatto degli altri avanzati ad adeguarsi al formidabile cambiamento portato dalle nuove tecnologie e dalla globalizzazione, a causa di un insieme di rigidità che si trasformano in nodi che soffocano lo sviluppo. Queste rigidità sono particolarmente gravi nel contesto di fortissima accelerazione dei mutamenti che è ormai in atto dalla prima metà degli anni 90 e nel quadro di unione monetaria europea a cui l’Italia partecipa.

Inoltre, l’eredità della crisi, fatta di altissima disoccupazione e di maggiore incertezza, e la sempre più pervasiva applicazione delle nuove tecnologie (non solo quelle ICT) richiedono una risposta urgente ed efficace per eliminare le rigidità e sciogliere i nodi che frenano la crescita e per rilanciare la competitività, gli investimenti, facendo tornare il Paese su un sentiero di espansione elevata.

Tra i più importanti fattori frenanti ci sono le regole che governano il mercato del lavoro, sia nelle forme contrattuali sia nella gestione delle attività svolte sia nelle determinanti della contrattazione collettiva.

Il Consiglio Direttivo di Confindustria ha pubblicato un documento in cui presenta l’analisi delle principali criticità del mercato del lavoro italiano e avanza, da un lato, proposte concrete per favorirne il superamento e rimettere in moto la crescita italiana, dall’altro, linee di indirizzo per avviare un dibattito per una modernizza-zione del sistema di relazioni industriali.

 

La perdita di competitività di costo


L’Italia deve recuperare un notevole divario di competitività. In termini di costi unitari del lavoro tra il 2000 e il 2013 l’Italia accumulato un differenziale enorme rispetto alla Germania: tra il 2000 e il 2013 il CLUP (costo del lavoro e produttività) medio del settore manifatturiero italiano è cresciuto del 36%, in Germania, anche tenendo conto del rialzo negli ultimi 2-3 anni, nel complesso del periodo il CLUP è diminuito di circa il 4% e tra il 2000 e il 2007 la riduzione aveva toccato il -16%.

Negli ultimi anni, alcuni paesi europei sono riusciti ad operare un aggiustamento dei costi unitari.

In Spagna, ad esempio fino al 2009 il costo unitario del lavoro era cresciuto come in Italia, ma negli ultimi 4 anni esso è diminuito notevolmente, mentre in Italia ha continuato a crescere. A fine 2013 la Spagna aveva quindi sensibilmente ridotto la perdita di competitività di costo accumulata nei confronti della Germania.

L’andamento delle due componenti del CLUP – costo del lavoro e produttività (entrambi qui misurati per ora lavorata) – mostra che il problema italiano è, soprattutto, la produttività. Questo problema rimanda all’innovazione e agli investimenti, che sono stati sempre più penalizzati da fortissimo schiacciamento dei margini di profitto, dall’aumento della tassazione e dalle rigidità del sistema Paese. Dal 2000 al 2013 il costo del lavoro (in termini nominali) in Italia è aumentato di circa 10 punti più che in Germania, ma la produttività tedesca è aumentata di 30 punti più che in Italia. Di conseguenza, il CLUP tedesco è diminuito sensibilmente rispetto a quello italiano. Dato il divario di produttività, il maggior aumento di costo del lavoro italiano rispetto alla Germania non avrebbe dovuto aver luogo e ciò ha accresciuto la perdita di competitività e rimanda all’inadeguatezza delle regole della contrattazione collettiva nazionale.

Sempre tra il 2000 e il 2013, il costo del lavoro (in termini nominali) in Spagna è, invece, aumentato molto di più che in Italia circa 70% contro 50%, un divario di 20 punti percentuali, tuttavia, il divario di produttività, circa 40 punti a favore della Spagna ha fatto sì che il CLUP in Spagna sia aumentato meno che in Italia.

Punti di competitività sono stati tuttavia persi anche per una dinamica contrattuale non sempre coerente con il contesto economico e con la produttività. Nel complesso del periodo 2000-2013 la crescita delle retribuzioni reali in Italia è stata di +10% in 13 anni, di qualche punto superiore alla Germania (+7,5%) e inferiore a quella registrata in Spagna (+17,5%).

Nel 2010 e 2011 sia in Germania che in Spagna all’accentuarsi della crisi economica si è però anche operato un aggiustamento verso il basso del livello delle retribuzioni reali, non così in Italia. Inoltre, come detto prima, la dinamica delle retribuzioni tedesche è stata inferiore a quella della produttività e non pari o leggermente superiore come è accaduto in Italia.

 

Far funzionare l’incontro tra domanda e offerta

 

Per far funzionare meglio il mercato del lavoro serve anche una efficace organizzazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

In Italia solo il 2,2% delle persone trova il lavoro attraverso la rete pubblica dei centri per l’impiego, dato che scende a 1,4% per i giovani tra i 15 e i 29 anni. Tra i giovani la modalità di ricerca normale (77,6%) è rivolgersi alla rete di amici, parenti e conoscenti.

Rete pubblica che peraltro è enormemente frammentata sia sul piano istituzionale (Ministero del Lavoro con suoi enti strumentali ISFOL e Italia Lavoro, Assessorati regionali, provinciali e comunali, Agenzie regionali per il lavoro, Centri per l’impiego, INPS, ecc.), sia sul piano delle politiche a livello regionale, con una disorganicità di fondo tra regione e regione e, all’interno della medesima regione, tra chi si occupa di mercato del lavoro, formazione, scuola, università.

Il primo problema da superare è quindi la mancanza di coordinamento sia tra i soggetti pubblici aventi competenze in materia, sia tra i soggetti pubblici (segnatamente i Centri per l’Impiego) e quelli privati (Agenzie per il lavoro autorizzate/accreditate, Agenzia formative, Job Placement di Scuole e Università, ecc.), senza però creare ulteriori soggetti ma razionalizzando e unificando quelli esistenti. Occorre anche il coordinamento stretto tra i soggetti che gestiscono le politiche attive e i soggetti che erogano i sussidi al reddito dei disoccupati per assicurare la cogenza delle politiche attive ai fini dei sostegni al reddito delle persone in cerca di occupazione.

L’Europa promuove un piano straordinario per i giovani, la Youth Guarantee. “Non dobbiamo perdere questa occasione di rendere più efficienti i nostri servizi per l’impiego e favorire forme di collaborazione tra pubblico e privato e ampliando la sfera di azione delle agenzie private” annota Confindustria.

Nella progettazione degli interventi, occorre inoltre “ragionare secondo una logica di efficacia e di premialità”, prevedendo, in particolare, il rimborso “a risultato” e non “a processo” dei servizi di accompagnamento al lavoro e di incontro domanda/offerta.

Nell’ambito delle politiche attive un contributo importante può venire dalle capacità dei Fondi interprofessionali. “Dovrebbe essere resa obbligatoria la destinazione del contributo dello 0,30% a tali fondi e, eventualmente, e si dovrebbe destinare agli stessi il contributo ora previsto per l’indennità di mobilità. Con tali risorse i Fondi potrebbero programmare piani di ricollocazione dei lavoratori in esubero, comprensivi sia della necessaria formazione, sia di attività di outplacement affidate a soggetti specializzati”.

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