Home FixingFixing Il ciabattino, antico e prezioso mestiere che attraversò le guerre

Il ciabattino, antico e prezioso mestiere che attraversò le guerre

da Redazione

Consorzio Terra di San Marino: von Ezio Bartolini alla riscoperta di cuoio, spaghi cerati e “lesine”.


“Egli ora sta per aggiuntare / cuoio più ch’io mai abbia avuto / al mio paio e fa disperare / un bisogno di piede nudo / il suo martello che non sbaglia / fissa chiodi motteggiatori / sulla suola sempre la voglia / conducente ad altri sentieri”. Antico e prezioso mestiere, decantato anche in questi versi dal poeta Stéphane Mallarmé, il ciabattino aveva un ruolo molto importante nel passato: nei periodi di difficoltà economiche, le calzature non si buttavano via ma dovevano essere riparate. Nel granaio della Casa di Fabbrica è stato ricostruito un angolo di lavoro: chiodini, pezzi di cuoio, piccoli martelli. Seduto sullo sgabello di legno, Ezio Bartolini, il curatore del Museo della civiltà contadina, ci racconta – con la sua riconosciuta competenza – l’arte di questa professione

“Quasi tutte le case avevano uno spazio per le riparazioni delle scarpe: in tempo di guerra, i pochi soldi che si avevano venivano destinati al cibo e ai beni di prima necessità. Le calzature rotte o che avevano bisogno di un rinforzo, venivano quindi aggiustate in casa. In un clima di amicizia e solidarietà, tra vicini di casa ci si aiutava: vestiti e scarpe da rimettere in sesto, una mano er la trebbiatura, eccetera. Ma non per la vendemmia”.

Le scarpe erano dei piccoli tesori: riparavano i piedi dal freddo e dalla pioggia, ma anche dai sassi e dalle sterpaglie. Pensiamo per esempio alla campagna di Russia, alle difficoltà che i soldati hanno incontrato: avevano stivaletti inadeguati.

Come ci insegna la tradizione, in campagna non si buttava via nulla. “Le scarpe erano molto poche – spiega il signor Ezio Bartolini -. Spesso accadeva che per recarsi in Chiesa la domenica, le persone – per evitare che si sporcassero (le strade erano sterrate e piene di sassi) o si consumassero – percorrevano le strade scalzi e per poi indossarle a 100 metri dall’entrata. Quando un ragazzino diventava grande passava le proprie ai fratelli più piccoli. Accedeva però che si consumassero. In questo caso, l’uomo di casa le portava nel suo piccolo ‘laboratorio’ per rimetterle a posto. Per forare il cuoio venivano utilizzate le lesine, dei piccoli punteruoli di diverse misure. Lo spago, che serviva per unire i pezzi di pelle, veniva preventivamente trattato: veniva ‘passato’ in una pallina di cera in modo che diventasse più resistente e impermeabile. Le scarpe venivano sollecitate dalle intemperie: acqua, neve, eccetera. Per assemblare la suola, il ciabattino prendeva un piccolo martello ricurvo – utile per riuscire a lavorare anche negli angoli più piccoli – e una manciata di ‘semenze’, chiodini particolari di diverse dimensioni. Quest’attività è molto antica e ha attraversato anche tutta la prima e la seconda Guerra Mondiale, sia qui a San Marino che nel circondario, e in tutta Italia”.

Sul banchetto che incontriamo nella Casa di Fabrica spiccano poi alcuni oggetti desueti, molto affascinanti. Un corno di mucca o vitello, che serviva per lisciare i bordi del cuoio, una pinza per snervare la pelle, un coltello per tagliare le parti, una pietra per affilare le lame e uno strano monopiede. “Si chiama ‘forma’ – sottolinea il curatore della casa – ed è composto da un legno, su cui, nell’estremità che si rivolge alle persone, è stato posizionato una punta tondeggiante. L’uomo metteva questo oggetto tra le gambe. Con le cosce teneva fermo il bastone e sulla parte di ferro lavorava le suole delle scarpe”.    

Le scarpe interamente in cuoio, in estate lasciavano spazio ai sandali. “Le calzature, durante la bella stagione, avevano una suola ‘speciale’, fatta con il battistrada usato delle ruote delle automobili. Si andava dai meccanici, e si prendeva la gomma

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