Riscopriamo l’arte raffinata di Elisabetta Sirani, straordinaria pittrice bolognese del Seicento presente a San Marino con due opere che meritano una visita: “Noli me tangere” e “La Madonna della Rosa”.
di Alessandro Carli
Non sono molti gli sguardi e i toccchi di pennello tra il Seicento e il Settecento italiano: l’arte vista dall’altra metà del cielo, all’epoca, era merce rara e spesso osteggiata. Eppure qualche illuminato esempio – chiaramente recuperato dai critici molto tempo dopo – merita un racconto. E’ certamente il caso di Elisabetta Sirani, (1638-1665), presente a San Marino con due opere: quel meraviglioso “Noli me tangere” della seconda metà del Seicento custodito all’interno della Basilica del Santo e raffigurante il Cristo risorto, e la “Madonna della Rosa” del 1661, acquistata nel 1983 dal Titano e oggi nel Museo di Stato.
Definita da Carlo Cesare Malvasia, celebre esperto di pittura dell’epoca “prodigio dell’arte, gloria del sesso donnesco, gemma d’Italia, sole d’Europa, l’Angelovergine che dipinge da homo, ma anzi più che da homo”, la pittrice fu particolarmente vicina a Guido Reni: il padre Giovanni Andrea, mercante d’arte, fu primo assistente dello stesso Reni.
Elisabetta studiò con le sorelle Barbara e Anna Maria alla scuola paterna dove dimostrò subito talento e maestria realizzando alcuni ritratti già all’età di diciassette anni. La sua tecnica era decisamente inconsueta per il tempo: tratteggiava infatti i soggetti con schizzi veloci e quindi li perfezionava con l’acquerello dimostrando gran disinvoltura o, per usare un termine dell’epoca, con “sprezzatura”. In un ambiente come quello artistico, ritenuto una prerogativa maschile e che di conseguenza mal tollerava “l’intrusione” di protagoniste femminili, Elisabetta eseguì in pubblico e alla presenza dei suoi committenti (tra cui figuravano nobili e artistocratici, ecclesiastici e personalità di spicco come alcuni membri della famiglia Medici ma anche la Duchessa di Parma e quella di Baviera) una parte delle proprie opere non solo adeguandosi a una diffusa abitudine dell’epoca, ma anche per allontanare qualsiasi sospetto che non fosse una donna a dipingere con tanta bravura e per sfatare le voci che vedevano il padre furbo ‘sfruttatore’ di una inesistente capacità o abilità della figlia.
Cosimo de’ Medici, in cambio d’un quadro le donò una croce con 56 diamanti che venne posta dal padre nell’ “Armadio dell’Ammirazione”, zeppo d’oggetti preziosi donati alla figlia e mostrato ai visitatori come un reliquiario che provocava feroci invidie.
Un’artista “moderna”, capace di produrre una grande quantità di opere – più di 200 quadri in due lustri – sulla donna e sul mondo femminile: autoritratti (in questo seppe anticipare i tempi, se pensiamo ai contemporanei selfie o ai ritratti di Frida Kahlo), Madonne, sante, eroine bibliche e mitologiche. Quasi a voler sottolineare il suo status, in ogni suo quadro poneva la firma su pizzi, gioielli, scollature, ossia su ogni cosa dimostrasse femminilità e sensualità.
“Lavorava dall’alba al tramonto, tutti i giorni eccetto la domenica, e trovava anche il tempo per intrattenere gli ospiti o i committenti con conversazioni spiritose e buona musica. Apriva il suo studio ad altre donne desiderose di imparare, tanto che finì per fondare una scuola” così scrive Germaine McGreer in “Le tele di Penelope”.
Morta avvelenata ancora molto giovane – aveva solamente 27 anni – per la sua fama, il suo funerale venne celebrato con grandi onori, con una bara che rappresentava il Tempio della Fama, che conteneva una statua dell’artista a grandezza naturale seduta al cavalletto ed i suoi resti si trovano nella Basilica di San Domenico a Bologna accanto a Guido Reni.
Dopo un primo, modesto ridestarsi d’interesse nell’Ottocento romantico, che ne privilegiò gli aspetti biografici più “eroici” e patetici, la Sirani ha conosciuto un recente successo di critica dovuto a nuovi studi d’approfondimento sulla sua opera, arricchitasi notevolmente negli ultimi anni, tanto da spingere gli studiosi a diverse pubblicazioni monografiche a poca distanza l’una dall’altra.
Un primo segnale di rivalutazione si può individuare nel 1947 quando, con la sostituzione dell’ordinamento repubblicano a quello monarchico, a Bologna l’antica “Scuola provinciale femminile di arti e mestieri”, già denominata “Istituto femminile di arti e mestieri Regina Margherita” sotto il patronato reale, venne definitivamente intitolata a Elisabetta Sirani.
Nel 1994 è stato emesso un francobollo raffigurante il suo dipinto Madonna con Bambino di Washington all’interno della tradizionale serie natalizia dello United States Postal Service (la prima volta per l’opera d’arte di una donna). Dal 1994 le è stato dedicato un Cratere sul pianeta Venere.