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San Marino, Giovanni Spadolini: l’idea della Repubblica

da Redazione

L’orazione ufficiale per i Reggenti che nel 1989 lo statista e politico italiano lesse sul Titano.


Nel 1989 Giovanni Spadolini salì a San Marino per l’orazione ufficiale in onore dell’insediamento degli Eccellentissimi Capitani Reggenti. Tra i passaggi più signficativi, anche i riferimenti a Napoleone: “La Repubblica di San Marino esisteva ‘par la sagesse de votre gouvernement, citoyens, et surtout par vos vertus’. Anche agli occhi di Napoleone San Marino era l’emblema e l’antesignana della virtù politica e della democrazia”. Ecco un estratto.

 

Una storia singolare e paradigmatica che ha affascinato tanti spiriti in Italia e fuori d’Italia. Il mito di San Marino: lo ha chiamato uno dei grandi intellettuali della nostra generazione, Aldo Garosci. In una costante tradizione carducciana, dal discorso del poeta nel 1894 a quello che nel 1948 tenne nello stesso palazzo Piero Calamandrei.

Ricerca di storia e frammento di memoria: questo è il mio omaggio a San Marino, il suggestivo tema da me esplorato negli anni dell’adolescenza. A quell’omaggio si unisce una ricerca d’archivio nelle carte di Pasquale Villari, il grande storico di Savonarola e di Machiavelli “plenipotenziario” dell’Italia nella terza convenzione di buon vicinato e di amicizia fra la Repubblica e il Regno, quella del giugno 1897 che seguì alla brusca e un po’ brutale denuncia della precedente – la convenzione di Sella nel ‘72 – fatta da Crispi per l’urto sulla coniazione delle monete (e tutte alla Zecca di Roma, senza quasi libertà per la piccola repubblica). Un capitolo inesplorato dalla storia della vasta biografia intellettuale di questo maestro dell’ateneo fiorentino che attende la riparazione dal troppo sommario ostracismo crociano. Il saggio su San Marino e lo studio su Pasquale Vìllari sono completati dal recupero, nelle pagine della vecchia “Antologia”, di uno scritto di Corrado Ricci, “Da San Marino a San Leo” del 1893 . Corrado Ricci. Un nome caro alla cultura romagnola e italiana degli stessi anni postcarducciani. Uno dei primi animatori della tutela di quelli che oggi abbiamo convenuto di chiamare i beni culturali, e che allora erano le nascenti, anzi albeggianti, soprintendenze alle gallerie e ai monumenti. Ancora una volta un’Italia in fasce.

Ho scritto a quattordici anni, nel 1939, le prime pagine su San Marino. Guardo a queste di oggi come ad un segno di testimonianza. Sono tanti anni che avrei dovuto scrivere questo saggio, tanti anni di rinvii, quasi per l’intimo pudore di tornare sui paesaggi di un’antica, intatta fantasia infantile. Come sempre storia e autobiografia si identificano.

(…)

Soffermiamoci un momento sul fascino di quella parola “repubblica”. Evocante la Repubblica Romana, cioè il mondo classico nella sua accezione virtuosa, quasi contrapposta alle degenerazioni e alle corruzioni imperiali. Evocante poi le repubbliche del Medioevo, riassunte negli splendori dell’età comunale, con Firenze nel Trecento – come la dipingerà Carducci – capitale culturale ed economica dell’Europa . Evocante infine la repubblica romana di Mazzini e Garibaldi nel 1849, confinata nei testi scolastici dell’epoca e sacrificata alla ragion di Stato della monarchia vincitrice, ma non senza lasciare una traccia, o almeno un varco, alla fantasia e al sogno. Nell’ultima cultura illuministica, il mito della repubblica era strettamente collegato all’esaltazione del piccolo stato, che solo avrebbe consentito una diretta partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere, unica e legittima forma di democrazia. Era il modello della repubblica di Ginevra cui si era ispirato Rousseau per il Contratto sociale, modello nuovo rispetto alle altre repubbliche idealizzate nella storia, ma tutte collegate alla città, alla “polis”, alle dimensioni di un centro urbano e talvolta di un piccolo centro urbano , se si va da Atene a Roma, da Firenze a Venezia, da Ragusa, la Ragusa adriatica e oggi jugoslava – che fu modello di tanti studi e trattati proprio per le sue limitate dimensioni sull’Adriatico in quel periodo – a Lucca. Era il modello delle “Repubbliche del Medioevo” ricostruite da Sismondi in tutti i loro anfratti, e con un’alta visione europea. Quando Rousseau, affascinato da quella che Benjamin Costant ha chiamato “la libertà degli antichi”, respinge lo Stato rappresentativo e ripropone la democrazia diretta, come modello della nuova Repubblica, sottolinea come essa dovrebbe basarsi sulla “semplicità di costumi”, su “una grande eguaglianza di condizioni e di fortune”, su “uno stato molto piccolo”, in cui il popolo sia capace di riunirsi, “ogni cittadino possa facilmente conoscere tutti gli altri”. Che sembra proprio il modello rappresentato storicamente da San Marino.

Montesquieu riprende, nel pieno della stagione enciclopedica, il senso machiavellico della parola “repubblica”, quando fisserà una specie di triade che si fonda sulla monarchia, sulla repubblica – divisa fra aristocratica e democratica – e sul dispotismo.

“Il governo repubblicano, – affermerà Montesquieu – è quello nel quale il popolo tutto, almeno una parte di esso, detiene il potere supremo; il monarchico è quello in cui uno solo governa ma secondo leggi fisse e stabilite; il governo dispotico invece è quello in cui uno solo, senza né leggi né freni, trascina tutto e tutti dietro la sua volontà e i suoi capricci”. E anche allora era tornato il principio tipico della tradizione secolare legata all’esperienza splendida dei liberi comuni italiani o fiamminghi: la repubblica deve avere una estensione territoriale assai modesta, deve essere piccola perché i cittadini concorrano al governo della comunità in modo diretto e vorremmo dire “possessivo”. Il piccolo territorio, in contrasto con i grandi spazi della monarchia e con quelli immensi necessari per il dispotismo, diventa dunque sinonimo di trasparenza, di chiarezza, di controllo, di partecipazione, di pubblicità. Proprio come l’esperienza secolare di San Marino. E a proposito di esperienza napoleonica lasciatemi ricordare l’alto omaggio ideale tributato da Bonaparte alla Repubblica di San Marino. Napoleone identificava la piccola popolazione della repubblica sammarinese con l’idea stessa di “libertà immemorabile”, ed offriva a San Marino la fraternità della repubblica francese (noi italiani conoscemmo quella “fraternità”). Ma ciò non pertanto dobbiamo riaffermare oggi a due secoli di distanza dalla Rivoluzione francese che senza l’89 anche la nostra storia sarebbe stata diversa, che in mezzo a ingiustizie ed errori noi contraemmo un debito che appartiene alla nostra storia nazionale.

La Repubblica di San Marino esisteva “par la sagesse de votre gouvernement, citoyens, et surtout par vos vertus”. Anche agli occhi di Napoleone San Marino era l’emblema e l’antesignana della virtù politica e della democrazia. E la Repubblica pronta a parare – grazie alla saggezza di Antonio Onofri, “pater patriae” – quel gesto teatrale dell’offerta di ampliamento dei confini repubblicani: offerta del generale che se accettata sarebbe stata sufficiente a cancellare San Marino dalla carta politica dell’Europa, nel successivo congresso dei vincitori e dei vendicatori di Vienna.

I valori disinteressati debbono essere difesi dai piccoli stati. E la Repubblica deve apparire sempre di più agli occhi del mondo come appariva a Machiavelli e a Montesquieu: sinonimo di virtù . E’ la virtù intesa non solo come integrità di costumi ma come amore, congiunto, della patria e dell’umanità.

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