“Scrivere con la luce”: è questo il significato della parola “fotografia”. I vincitori del I° concorso voluto dal Club Fotografico Sammarinese.
di Alessandro Carli
La fotografia è, etimologicamente scrivendo, una scrittura con la luce. Trattandosi di scrittura che non richiede parole, ha una valenza universale: può essere capita da tutti, senza i limiti della lingua. E trattandosi di “scrittura”, ha per San Marino Fixing una grande importanza.
A fine aprile abbiamo avuto l’onore di essere chiamati a osservare e valutare – assieme a Vittorio Giardi e Gabriele Mazza – i lavori del primo concorso semestrale del Club Fotografico Sammarinese: 8 lavori, assolutamente anonimi, imperniati su un racconto compiuto.
I partecipanti, con “Ti racconto una storia” in quattro immagini, hanno dato grande libertà alla fantasia: reportage di viaggio in Oriente, le immagini di una giornata allo zoo, qualche squarcio di vita domestica quotidiana, attimi di lavoro, ritratti di famiglia. Storie ben pensate, giocate quasi tutte sul colore e realizzate con tecniche e macchine fotografiche piuttosto differenti.
Quello che ha colpito – più o meno quello che Roland Barthes chiama “punctum” – è stata la varietà di soggetti fermati. In questo, appoggiamo le parole di Barthes: “Che cosa si veda guardando un’immagine fotografica? Non la fotografia, bensì l’oggetto. E’ come se quella scomparisse nel momento in cui dà a vedere ciò che raffigura.
Dice bene Davide Bordini: “punctum” ci suggerisce l’idea di una puntura, di un piccolo taglio, come se vi fosse nell’immagine un quid che ne lacera l’unità dall’interno. L’immagine “ferita” appare, dunque, duale, laddove l’immagine che appartiene alla sfera dello studium è unaria.
Lo studium – chiarisce Giuseppe Zucco – è il nostro accostarsi disinteressato al mondo: “L’applicazione a una cosa, il gusto per qualcuno, una sorta d’interessamento, sollecito, certo, senza nessuna intensità”. Mentre il punctum è il nostro concedersi al mondo quando il mondo si scaglia su di noi in tutta la sua potenza. È mondo che ferisce, il punctum , che percorre tutti i sensi, che ti turba, che esplode e deflagra dentro di te per l’intensità di quella particolare esperienza.
Ancora Roland Barthes: “Un dettaglio viene a sconvolgere tutta la mia lettura; è un mutamento vivo del mio interesse, una folgorazione. A causa dell’impronta di qualcosa, la foto non è più una foto qualunque. Questo qualcosa a fatto tilt, mi ha trasmesso una leggera vibrazione”.
E’ su quel dettaglio che la giuria ha valutato i portfolii. Certo, sono state considerati anche molti altri fattori: la capacità di padroneggiare la tecnica (ovvero il mezzo), la stampa (che non dipende dal fotografo), i dettagli e soprattutto il racconto. La reazione che ha avuto sui “giurati”.
Da questa settimana, ogni venerdì sino al 6 giugno, pubblicheremo i lavori dei primi tre classificati.
A partire dal terzo, poi risalire il podio sino al gradino più alto. Oggi iniziamo da Francesco Vannucci, che ha proposto “…che nervoso!”. Dobbiamo essere sinceri: il suo lavoro, come quello degli altri, ci ha colpito per freschezza. Sulla busta che custodiva le quattro fotografie c’era scritto solamente il titolo dell’opera. Un titolo sibillino, che poteva aprirsi a mille interpretazioni: cosa ci fa arrabbiare? Di certo ogni persona avrebbe una risposta diversa. Qui Francesco Vannucci si è fermato in un gesto quotidiano, che ognuno di noi ha ripetuto centinaia di volte: il disegno con la matita. Che, in maniera dispettosa, si spezza.
Al secondo posto le idee di Luca Maccapani che, nei quattro scatti di “Creazione di un dipinto” che troverete la prossima settimana, si è divertito, con successo, a giocare con più piani di lettura, realizzando una storia quasi metafisica.
Il primo classificato, Paolo Crescentini, il 6 giugno chiuderà queste tre puntate dedicate al concorso fotografico. Il titolo del suo lavoro è “Sarò un cappuccino?”. Ci siamo sbizzarriti non poco nel provare a dare una forma a queste parole. Ebbene: nessuno ci è arrivato. E siamo certi che sarà una sorpresa anche per i lettori. Ogni nostra ipotesi, lanciata quasi con sicurezza, è naufragata…
In tutti i lavori proposti abbiamo avvertito gli insegnamenti del padre della fotografia, Henri Cartier Bresson: “La macchina fotografica è un blocco di schizzi, lo strumento dell’intuito e della spontaneità. […] Fotografare è trattenere il respiro quando le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace; a questo punto l’immagine catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale. Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. E’ porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. E’ un modo di vivere”.
Dopo aver ospitato le immagini dei tre artisti, chiediamo ai lettori – anche via mail: l’indirizzo è info@fixing.sm – un commento, una riflessione, un’idea, un giudizio. Sperando che questa “galleria” possa stimolare e avvicinare alla nobile (e oggi democratica) fotografia.