Quando si parla di rappresentatività, ci si riferisce ad una problematica assai seria che trasversalmente attraversa tutto il mondo economico sammarinese. Ma si tratta anche di un problema pratico, legato all’impossibilità delle aziende di assicurare i diritti sindacali ai propri dipendenti.
di Loris Pironi
SAN MARINO – Quando si parla di rappresentatività, ci si riferisce ad una problematica assai seria che trasversalmente attraversa tutto il mondo economico sammarinese. Una questione che dipende da norme emanate nel 1961, rimaste valide per molto tempo ma oggi inadeguate per via delle mutate condizioni della realtà imprenditoriale, che per lunghi anni malgrado richieste pervenute da più parti e sentenze della magistratura, non è mai stata risolta dalla politica. Ma se il tema in sé può apparire alquanto astratto, strettamente connesso principalmente alla stipula dei contratti collettivi, in verità è estremamente concreto e riguarda anche la vita quotidiana delle imprese sammarinesi.
Nel caso specifico che vi andiamo a raccontare, la problematica riguarda la ripartizione, tra i lavoratori iscritti alle diverse sigle sindacali, delle ore di assemblea, dei permessi e quant’altro, previsti dalla legge. Senza sapere con precisione, per l’appunto, chi rappresenta chi, è impossibile che le imprese siano in condizione di consentire un legittimo e corretto esercizio dei diritti sindacali, distribuendo appunto in maniera corretta tra Cdls, Csdl e Usl tutte le posizioni che la legge attribuisce alle organizzazioni sindacali registrate.
La situazione relativamente a permessi e assemblee, in passato, è stata gestita senza patemi, poiché la ripartizione era tra le due sole sigle della Centrale Sindacale Unitaria, di cui il dato relativo agli iscritti è certo e comprovato, e fra loro vi è sempre stato accordo in tal senso. Ma oggi a dividersi il monte ore a disposizione per i diritti sindacali c’è anche l’Unione Sammarinese dei Lavoratori (USL), riconosciuta giuridicamente nell’ottobre del 2008 dal Tribunale Civile e Penale della Repubblica di San Marino. Tra CSU e USL, è cosa nota, i rapporti non sono idilliaci. E se sono le parti sindacali a dover trovare tra loro un accordo per dirimere la questione, ad essere presi nel mezzo sono invece gli stessi lavoratori e i datori di lavoro.
Così nei giorni scorsi l’Associazione Nazionale dell’Industria Sammarinese ha inviato una lettera alle tre sigle sindacali per chiedere di avere l’elenco generale degli iscritti e l’elenco specifico del settore industria, anche in forza di una specifica autorizzazione del Giudice Amministrativo Garante dei Dati Personali. Un elenco impersonale – in quanto non interessa conoscere a quale sigla appartiene il singolo lavoratore – ma che consente alle singole aziende di regolare l’attività sindacale, e di conseguenza la propria organizzazione interna. ANIS evita ogni tipo di polemica con il sindacato, ma ciò non toglie che la problematica va risolta il prima possibile.
ERGA OMNES
La legge del 17 febbraio 1961 sancisce le libertà sindacali e prevede, per il riconoscimento dei sindacati (dei lavoratori e dei datori di lavoro) abilitati a concludere contratti collettivi – con efficacia erga omnes -, alcuni specifici requisiti numerici, relativi alle singole “categorie” e al numero di iscritti, siano essi lavoratori oppure aziende rappresentate. Oggi però il contesto è mutato, i numeri sono cresciuti considerevolmente, è aumentato anche il numero di sigle sia su un fronte sia sull’altro. Il concorso di contratti collettivi “concorrenti” provvisti di efficacia erga omnes dunque oggi rischia di creare una turbativa nell’intero sistema di relazioni sindacali e implica la necessità di un intervento normativo per “attualizzare” le regole del gioco. Da più parti e in più circostanze, come dicevamo in partenza, è stata invocato l’intervento della politica: ANIS e CSU, in particolare hanno dimostrato senso di responsabilità e la ferma volontà di risolvere la questione inserendo come allegato all’ultimo contratto industria una proposta normativa volta a dirimere una volta per tutte la questione della rappresentatività. Una proposta volutamente attenta a non escludere le minoranze dai tavoli ma a assicurare un principio democratico nella validità erga omnes (riservata a chi rappresenta la maggioranza dei lavoratori o dei datori di lavoro). Infine va segnalato che c’è anche una sentenza del giudice delle appellazioni (datata 9 aprile 2009) in cui si dà atto alla necessità di rivedere tali regole e viene escluso che ciò possa avvenire per via interpretativa. Se le cose in oltre mezzo secolo sono cambiate, è la politica che oggi è chiamata a dare risposte senza ulteriori indugi, perché certe situazioni non possono essere risolte col semplice buon senso delle parti.