Un’indagine effettuata dal centro studi statunitense CEPR vede l’Austria primeggiare, con 35 giorni di ferie pagate ogni anno. Una pacchia? Forse, ma il Titano straccia gli austriaci: i giorni di ferie sono 26 (22 in Italia), le festività invece sono ben 17.
di Loris Pironi
In queste settimane così ricche di festività e di ponti – Pasqua, il 25 aprile, il 1° maggio – uno studio internazionale comparato su 21 Paesi dell’OCSE ritenuti assai indicativi ha calcolato la media annua di giorni di ferie retribuite, a cui vanno sommate le varie festività nazionali, diverse da Paese a Paese. L’indagine è stata condotta dal CEPR, il Center for economic and politic research, prestigioso centro studi statunitense, che ha redatto un accurato rapporto comparando in maniera più che attendibile i vari sistemi.
La classifica del CEPR
La classifica, che prende in esame 21 nazioni di tutto il mondo, vede al primo posto l’Austria, con 35 giorni di ferie, alla pari con il Portogallo (che ha però meno benefit e agevolazioni per i lavoratori) e precede di un giorno la Spagna. Al quarto posto c’è l’Italia con 31 giorni, frutto di 20 giorni di ferie pagate e di 11 festività civili e religiose. Stesso numero di giorni per la Francia, uno in meno per Belgio, Germania e Nuova Zelanda. Sotto quota 30 c’è l’Irlanda con 29 giorni tra ferie e festività, il Regno Unito e l’Australia (28) e a seguire il “blocco nordico” (con la Norvegia in testa grazie a 2 festività in più su Danimarca, Svezia e Finlandia). La Grecia è nel gruppo, con 26 giorni non-lavorativi l’anno, Svizzera, Canada e Olanda si fermano a 20, il Giappone conferma la propria tradizione stakanovista con 10 soli giorni di ferie retribuite mentre chiudono la classifica gli Stati Uniti, dove le festività e le ferie retribuite, come spiega questo report del CEPR, non sono obbligatorie per legge.
La Repubblica di San Marino non è contemplata, naturalmente, in questa graduatoria. Le limitate dimensioni e le altre sue peculiarità non concedevano spazio a considerazioni generali per gli esperti del Center for economic and politic research. Però una comparazione aggiuntiva specifica Fixing se la può permettere. E così si scopre che il Titano in questa classifica batte – e di gran lunga – tutti i Paesi presi in esame dal CEPR. Prima di scendere nel dettaglio anticipiamo che il totale di San Marino raggiunge la ragguardevole quota di 43 giorni di non-lavoro “holiday & vacation”: 17 dovuti a festività (vedi box e tabella qui a fianco) e 26 di ferie.
Per la cronaca esiste una direttiva europea che risale al 19933 che fissa a 20 giorni annui il tetto minimo di ferie pagate per tutti i propri paesi membri. Ci sono diversi Paesi tuttavia che sono al di sopra di questa soglia, a partire dalla Francia che ne prevede 30.
Il “caso” sammarinese
A San Marino infatti i giorni di ferie previsti dai singoli contratti di categoria sono diversi tra loro, ma una comparazione è comunque possibile. Nella nostra analisi abbiamo preso in esame due contratti collettivi di lavoro, ma anche tutti gli altri non si discostano da questa linea. Per i lavoratori i cui orari sono distribuiti su cinque giorni, dal 2001, il contratto industria prevede infatti 26 giorni di ferie annue (o 195 ore).
Anche in ambito pubblico impiego per i dipendenti in organico che lavorano su una settimana di cinque giorni il computo dei giorni di ferie è di 26 l’anno; sono 25 invece per i dipendenti che si rifanno al contratto privatistico. Sia per gli uni che per gli altri il contratto prevede cinque ulteriori giorni di permesso straordinario che discendono da festività soppresse ormai remote. Cinque giorni in più che però nel nostro conteggio complessivo abbiamo tenuto fuori.
Considerazioni sulla classifica
La classifica rappresenta un indicatore attendibile per misurare quanto siano avanzati i sistemi in termini di benessere e anche di tutela dei lavoratori.
Naturalmente nell’analisi si deve tenere conto dei singoli contesti perché non si può considerare il percorso che ha portato a stabilire le regole nei vari Paesi e perché non sempre questo genere di concessioni indica uno stato di salute sano per un mercato interno del lavoro.
Scorrendo la classifica pubblicata dal CEPR si vede chiaramente che ai primi posti ci sono Paesi con una storia e una tradizione che confermano una maturità delle conquiste sociali, ed è indicativo il fatto che i primi sette posti sono ricoperti da Paesi del vecchio continente, tra cui l’Italia, ai piedi del podio. Nel contempo forse andrebbe fatto un ragionamento anche sul fatto che tre dei primi quattro Paesi in classifica, nello specifico Spagna, Portogallo e Italia, sono anche tra le nazioni europee che maggiormente stanno pagando il conto della crisi in termini di disoccupazione.
Ma il problema è anche un altro, ed è legato alla produttività e al costo del lavoro. Perché se è vero che la battaglia con i paesi emergenti (soprattutto quelli del Sudest asiatico, ma anche del Sudamerica) non si può certo vincere puntando sull’abbattimento del costo del lavoro – troppa differenza sociale e culturale, da noi per fortuna è impensabile anche solo affacciarsi su certe considerazioni – è vero che ci sono dei ragionamenti che possono e devono essere portati avanti se non altro per evitare di appesantire ulteriormente chi fa impresa. Il problema del costo del lavoro si sta affacciando anche a queste latitudini e già diverse imprese stanno incominciando a lamentare un problema di concorrenza: non con i cinesi ma con l’Italia, il mercato di riferimento. E perdere competitività in questa fase è qualcossa che San Marino non può certo permettersi.
Il taglio delle festività
Come potete vedere nella scheda qui a fondo pagina ci sono proposte – o per meglio dire richieste – a San Marino per recuperare qualche fetta di produttività spostando alcune delle tante festività la domenica.
Tra gli allegati del contratto collettivo per il settore industria sottoscritto da ANIS e la Centrale Sindacale Unitaria c’è l’accordo tra datori di lavoro e sindacato dei lavoratori per la riduzione di due festività, un impegno che entrambe le coalizioni avevano sostenuto nei colloqui prima delle ultime elezioni ma di cui tutti sembrano essersi “dimenticati”. Analogo impegno era stato assunto dai firmatari del contratto collettivo per la pubblica amministrazione (ovvero il sindacato e il Governo) nel 2012. Su queste proposte/richieste, per ora, non ci sono novità da raccontare.