Home FixingFixing Elzeviro. La magia, le caramelle, la Giraffa

Elzeviro. La magia, le caramelle, la Giraffa

da Redazione

Se n’è andato così, in punta di piedi quasi, dopo averci raccontato una vita. La sua vita, quella della sua famiglia, quella dei suoi personaggi, che poi è praticamente lo stesso.

 

di Loris Pironi


Se n’è andato così, in punta di piedi quasi, dopo averci raccontato una vita. La sua vita, quella della sua famiglia, quella dei suoi personaggi, che poi è praticamente lo stesso. Non è arrivato a vivere cent’anni, si è fermato a 87. Intensi, ricchi. Per lui e per noi. E di certo non sono stati anni di solitudine. L’affetto di milioni di lettori l’ha accompagnato giorno dopo giorno, l’ha rinvigorito, l’ha nutrito. Non se n’è certo andato come il generale Zacarias (L’autunno del patriarca; un “flop” perché il pubblico che l’aveva scoperto con Cent’anni di solitudine voleva altro. Un capolavoro): umano più che mai ma terribilmente solo. Neanche il fatto che la sua morte fosse annunciata da tempo, tanto tempo, ci rende questo finale meno amaro. Ci aveva preparato. E ci ha lasciato un’eredità da consumare, a forza di voltare e rivoltare le pagine, un’eredità che nel contempo si rivaluta ad ogni frase, ad ogni riga, a ogni punto. Quando parli di Gabo – solo Gabo perché lo senti come uno di famiglia, come lo zio che viene in visita con un pacchetto di caramelle e meravigliose storie e tu, bambino, non sai cosa scartare per primo – ti vengono in mente mille aneddoti. Alcuni veri, altri probabilmente mitizzati, perché è la vita stessa che con lui è diventata letteratura. Ti viene in mente che un Premio Nobel per la letteratura forse non dovrebbe confessare le sue litigate con l’ortografia. Pensi al suo amore-odio per il cinema, che non è mai riuscito a trasporre degnamente i suoi capolavori. Pensi a quando è stato pubblicato Cent’anni di solitudine, che 8 mila copie gli sembravan troppe. Personalmente quando penso a Gabo, a Gabito, mi viene in mente la Giraffa. Non l’animale, ma la rubrica che teneva sul El Heraldo dove, ben prima di scoprirsi campione della letteratura sudamericana, pigiava sui tasti della macchina da scrivere, e lo faceva con un ardore da giovane e prolifico giornalista. Un esempio di passione e dedizione che chiunque per lavoro prenda una penna in mano dovrebbe ispirarsi.            

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