Icona dell’imperfezione – apparente, viene da dire: Frida era molto attenta al proprio volto, e sapeva valorizzare la bocca carnosa e sempre impreziosita da un filo di rossetto, oppure socchiusa -, capì sin da subito l’importanza di quello che oggi viene chiamato “selfie”.
di Alessandro Carli
Frida Kahlo ha iniziato ad avere un volto – i suoi dipinti che la ritraevano erano già ampiamente conosciuti – circa 10 anni fa quando l’attrice messicana Salma Hayek diede il proprio corpo all’omonima pellicola. Adesso la pittrice, che si racconta attraverso un percorso di oltre 130 opere alle scuderia del Quirinale di Roma, mette in mostra tutta la sua contemporaneità: icona dell’imperfezione – apparente, viene da dire: Frida era molto attenta al proprio volto, e sapeva valorizzare la bocca carnosa e sempre impreziosita da un filo di rossetto, oppure socchiusa -, capì sin da subito l’importanza di quello che oggi viene chiamato “selfie”. Autoritratti sempre frontali, che obbligano il visitatore a soffermarsi sulle folte e demodè sopracciglia, sulla severità degli occhi, sul suo corpo, straziato da un terribile incidente che le accadde prima dei 20 anni.
E’ un viaggio intimo, quello che viene proposto nella Capitale sino al 31 agosto: intimi sono i dolori delle cicatrici che si è portata per tutta la sua breve vita (nacque nel 1907 e morì nel 1954), esorcizzati però da una forza che trova la sua completa esplicazione nella scelta quasi violenta dei colori, sempre accesi, virgulti, decisamente saturi.
Agli straordinari autoritratti – segnaliamo quello con la collana di spine, ma anche quello con il vestito di velluto, esempio cristallino e anticipatore dello stile del colli allungati di Amedeo Modigliani – fanno da contraltare i paesaggi e le nature morte, meno penetranti, ma anche le opere dell’amato Diego Rivera, marito sposato due volte (artisticamente meno interessanti rispetto all’arte della Kahlo), gli scatti fotografici di Nickolas Muray, che la ritraggono, assieme ad altri persone, in attimi di vita quotidiana e il bustino di gesso, quel celebre corsetto che Frida dovette indossare negli ultimi anni di vita, e che lei stessa decorò come fosse un’antica armatura.
Ma è tutto attorno alle variazioni sul tema dell’autorappresentazione che si compie la bellezza di questa donna, pasionaria, ribelle, ocultadora, fedelmente fedele ai propri pensieri: anticipatrice del femminismo, i selfie pongono al centro del mondo l’universo-donna: la bellezza interiore, il dramma dell’aborto (molti i disegni che la ritraggono sdraiata su un letto mentre dalla sua pancia escono una serie di cordoni ombelicali), i sogni di un amore maturo (Rivera aveva 20 anni più di lei) e la necessità di mostrare al mondo quelle immagini dipinte (immagini senza voce che, attraverso i segni, i tratti e i colori, diventano voce senza parole) del suo popolo, quello messicano.