L’orazione pubblica che il celebre giornalista pronunciò a San Marino nel 2001. Attuale in vista della discussa “Legge sull’editoria” in IIa lettura.
L’orazione pubblica che il celebre giornalista pronunciò a San Marino nel 2001. Attuale in vista della discussa “Legge sull’editoria” in IIa lettura.
“Benvenuti nell’antica terra della libertà”: il motto che accoglie ogni visitatore alla dogana, e che ogni sammarinese ritrova quando torna dall’Italia, è una frase impegnativa. E forse audace. La libertà e l’autonomia. La libertà e l’indipendenza. Sembra che la libertà sia il presupposto per tanti attributi. La libertà, qui nella Repubblica del Titano, viene detto, è “antica”. Ciò significa che è radicata nel passato. Difatti, mi hanno fatto notare, già nel 1548, Trissino, ne “L’Italia liberata dai Goti”, scrive che a San Marino “di perpetua libertà si gode”. E il mito della Libertas perpetua echeggia in queste valli da ancora più tempo. Ho pensato al rapporto che queste cose hanno con me. Io faccio il giornalista. Certo il giornale lo dirigo, ho quindi dei compiti gestionali. Però io sono prima di tutto un giornalista. Che relazione c’è dunque tra la libertà, il passato e l’autonomia? “Chi controlla il presente controlla il passato”, permettetemi di citare un collega. Di cognome faceva Blair, ma è meglio noto con lo pseudonimo di George Orwell. In 1984 egli, più volte, e proprio riferendosi alla stampa, e quindi ai giornalisti, ci ripete: “Chi controlla il presente controlla il passato”. Nelle stesse pagine Orwell racconta che nella dittatura del Big Brother – e lo dico in inglese non per fare l’esotico, ma di questi tempi, a usare la dicitura italiana non si sa mai – certe parole venivano soppresse. Alcuni funzionari erano deputati all’eliminazione delle parole. Perché questo compito? Perché se non ci sono delle parole adeguate, alcune cose non solo non si possono più dire, ma neppure si possono pensare. Ad esempio, la parola “ribellione” o “dissenso” divengono inimmaginabili anche come attitudini o tipi di azione. Curiosamente, la parola “libertà”, nel mondo immaginato da Orwell, rimane. Nella Neolingua “libero” esisteva ancora. Tuttavia, cambia la semantica. Cito da 1984: la parola libero poteva essere usata solo in frasi come ‘Questo cane è libero da pulci’ ovvero ‘Questo campo è libero da erbacce’. Ma non poteva essere usata nell’antico significato di “politicamente libero” o “intellettualmente libero” dal momento che la libertà politica e intellettuale non esisteva più, nemmeno come concetto, ed era, quindi, di necessità, priva di una parola per esprimerla. Allo stesso tempo, l’idea del controllo del passato attraverso il presente, pone chi scrive, e tutti coloro che scrivono, sotto una grossa responsabilità. Una responsabilità principalmente connessa a due caratteristiche fondamentali del giornalismo. Chi scrive su un giornale, infatti, non riporta delle notizie, ma in qualche modo le interpreta: si ‘dice infatti fornire una versione dei fatti. E, secondo punto, chi scrive, scrive sempre del passato. Un fatto appena è accaduto è già passato. Far parlare il presente, quindi, significa ammobiliare in un certo modo, e fornire un determinato senso (e non un altro!) a passato. Non c’è bisogno di citare il dibattito, a volte ozioso, sui cosiddetti revisionismi per comprenderlo. Ancora non abbiamo però introdotto il concetto di autonomia. Com’è possibile l’autonomia della stampa? o meglio cosa significa autonomia della stampa? Significa che si può scrivere ciò che si vuole? Oppure che non si deve rendere conto a nessuno? Si è autonomi, è questa la mia convinzione, quando, paradossalmente, si è in grado di riconoscere i propri condizionamenti. Non credo di essere originale in questo, ma ne sono convinto. Quasi un secolo fa, il “Marx della borghesia”, il sociologo tedesco Max Weber, dedicò delle pagine splendide sull’impossibilità di essere oggettivi e sulla pericolosità del crederlo. Bisogna essere in grado di riconoscere i valori che orientano il nostro agire e il nostro pensare. Si è oggettivi quando si è in grado di riconoscere ciò da cui si è influenzati. Così è nel giornalismo, così è nella scienza e così, forse, è nell’arte del governo. Ma allora, si potrebbe obiettare, si può essere autonomi solo riconoscendo che la propria libertà è limitata a priori. Bisogna distinguere, a questo punto, tra differenti concezioni di libertà. Almeno due. La libertà di e la libertà da. La prima, diciamo, è solo in apparenza positiva: è libertà di fare. La prima è positiva, abbiamo detto, ma contiene in sé un limite, a mio avviso. E cioè il confine dell’altro. Si è liberi finché la propria sfera di azione non invade l’autonomia altrui. Negando l’autonomia dell’altro si nega anche la propria libertà. Riconoscendo all’altro la sua autonomia, la sua libertà si definisce e diviene tangibile.
II secondo tipo di libertà allora? Come ormai si sarà capito essere “liberi da” è una condizione che, almeno professionalmente, è abbastanza utopica. I condizionamenti esistono e bisogna saperli riconoscere. Ma non mi sto riferendo a dei presunti “poteri forti” che pongono dei paletti al tuo pensiero e alla tua libertà di espressione. La prima fonte di condizionamento, per un giornalista, sono i suoi lettori! Sono i lettori i tuoi “controllori” più assidui – direi “per fortuna”.
I tuoi lettori puoi prenderli in giro, ma non per molto. Ma cosa vogliono i tuoi lettori da te? Vogliono che tu sia Libero. I tuoi lettori ti condizionano a ricercare la tua autonomia e se non lo fai, se non fai questo esercizio quotidianamente, sapete cosa fanno? Una cosa terribile: leggono qualcun altro.