L’ardua sentenza: andare incontro alle esigenze (anche molto pacchiane) dei visitatori oppure imporre un modello diverso?
di Alessandro Carli
I primi passi all’interno di un paese o di un borgo medievale danno quasi subito l’esatta misura di cosa accoglierà il turista. Dopo aver raccolto le parole dei commercianti di Borgo Maggiore, patrimonio mondiale dell’Unesco assieme al cento storico, siamo risaliti in città per ascoltare, parlare e raccogliere le riflessioni di chi ha un esercizio. Prima la porta del Paese, poi, in seconda battuta, l’entrata da via Salita alla Rocca. La differenza è davvero poca: tutte le strade, verrebbe da dire, portano a Roma: molte serrande abbassate, qualche negozio chiuso per lavori di ristrutturazione, molte commesse fuori dalla porta. Osservano i pochissimi turisti che camminano, giovedì 3 aprile poco prima di pranzo. La temperatura è mite e qualche straniero azzarda i sandali e i pantaloncini corti. Tutti hanno un cappello in testa, una macchina fotografica e una mappa. Una coppia di tedeschi di mezza età chiede gentilmente a un negoziante se a San Marino è festa. Strade deserte. Pochissimi anche i sammarinesi. Dentro i negozi, il panorama non cambia: una ghost city, una città fantasma. Unesco o non Unesco.
Proviamo a capire i motivi. Carta e penna, e una macchina fotografica. Molte persone non vogliono parlare.
Nella mente, dopo una manciata di rifiuti, scorrono i versi di Dante. “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente”. Il Titano è finito nel III canto dell’inferno? Non si lascia il campo dopo i primi “no”: chi fa il giornalista lo sa bene.
La salita però ha una pendenza insidiosa. Qualche commessa liquida le domande con un veloce. “Io non capire”. Un refrain che riecheggia anche in altre attività. Sono spesso bionde, e noti la loro etnia dai vestiti, dalle acconciature dei capelli, dal portamento, elegantemente dignitoso, di classe. Parlano russo perché a San Marino il turismo viene da Mosca e da altre città della grande nazione fredda. E i commercianti che vogliono provare a vendere qualcosa – la gamma è ampissima: si va dalle griffe dei vestiti ai profumi, passando per i souvenir, le bevande, la bigiotteria, l’arredo raffinato per la casa sino ai prodotti più kitsch – si affidano a chi è in grado di dialogare con i venti che spirano dai monti Urali.
Lasciato il cosiddetto foyer del Titano, quel Borgo Maggiore dimenticato ma che chiede a gran voce di poter lavorare, entriamo – con il passo e l’occhio attento dello scrittore Paolo Rumiz – nella Capitale.
Se a Mercatale si respirava la sammarinesità, qui la sensazione netta che si spalanca agli occhi è quella di una città, ordinata e archettonicamente curata (non ci inoltriamo qui sui concetti di estetica e di estetismo), come quelle dell’est Europa. Non è solamente una suggestione che deriva dall’idioma parlato. E’, in alcuni casi, la merce che viene messa in vetrina. Magline e magliette, profumi (taroccati?), prodotti dai gusti più che discutibili e spesso dalla provenienza più che dubbia. Eppure San Marino è patrimonio dell’Umanità. Eppure San Marino ha prodotti – in questo caso parliamo di quelli legati all’artigianato e all’enogastronomia – di tutto rispetto. Di qualità.
Ci siamo lasciati alle spalle Borgo Maggiore con un po’ di amarezza, e con la speranza di osservare e commentare un mondo, quello di città, diverso. Diverso per proposte, per attenzioni, per flussi. Detta fuori dai denti, se Atene piange, Sparta non ride. Anzi. Le difficoltà nel far parlare gli esercenti sono più o meno le stesse incontrate a Mercatale. Piano piano però si incontra qualcuno che è disposto a rispondere: riflessioni sul turismo, sul commercio, su come riuscire a attirare i turisti sul Titano, sull’offerta che il centro propone a chi decide di fare un giro nella turrita Repubblica. Qualità o dozzinalità? Proposte o una forma di “zerbinaggio” in base a cosa vuole o cerca il viaggiatore? Sono io commerciante che accompagno il cliente verso l’acquisto oppure mi adeguo e espongo quello che va?
Venerucci Due
Venerucci Due è situato nel cuore del centro storico di San Marino, sulla salita che porta al Pianello: è il punto di riferimento per collezionisti esigenti e amanti di raffinate porcellane. Qui, insomma, la qualità non manca. Pier Marino Marinelli parte dalla propria precedente esperienza politica (proprio alla Segreteria al Commercio) per tratteggiare il quadro del commercio e del turismo. “Il centro storico ricalca quello che avviene nella politica: se non sai rinnovare, non pupi cogliere. Il turismo di oggi parla prevalentemente russo, anche se nel tempo è cambiato: una volta ricercavano con più insistenza la qualità del made in Italy: accessori, abbigliamento, eccetera. Oggi la loro ricerca si è affievolita. Negli ultimi anni il centro storico è cambiato molto: si è rinnovato, anche grazie al piano particolareggiato. Questa lenta trasformazione verso l’offerta turistica oggi assomiglia maggiormente a quella di una vera capitale”.
Mancano però, per Marinelli, alcuni settori che invece trovano una vasta eco in alcuni borghi, specie quelli della Toscana. “L’artigianato locale è quasi del tutto sparito: ferro battuto, ceramica, eccetera”.
Alle offerte però deve seguire anche un miglioramento dei servizi. “Siamo carenti – prosegue -. Se si vogliono chiamare i turisti è necessario migliorare l’offerta e l’assistenza. A San Marino manca un ufficio reclami per esempio: se un turista viene trattato male, non sa dove andare a protestare. Serve poi un servizio wi fi veramente efficace: una connessione a internet che permetta a chi viene a San Marino di poter visualizzare i monumenti storici, o decidere dove andare a dormire o mangiare. Uno sguardo poi deve essere rivolto ai parcheggi, occupati prevalentemente da automobili targate RSM. Un turista che vuole visitare il centro storico deve lasciare l’automobile al parcheggio 9. A piedi, per arrivare in centro, ci può impiegare anche più di 20 minuti”.
L’analisi di Marinelli poi si sofferma sugli eventi del centro storico. “Si è chiesto ai commercianti di tenere i negozi aperto sino alle 23. Anche in questo caso andrebbe invertita la prospettiva: prima devono essere pianificati una serie di eventi e poi si può chiedere a chi ha un’attività di rimanere aperti”.