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Quando Niccolò Machiavelli salì sul Titano

da Redazione

Una pagina di storia dimenticata dai più ma assolutamente suggestiva: la venuta dell’autore de Il Principe e l’incontro, a San Marino, con Papa Giulio II e con l’architetto (presunto) sammarinese Bramante Lazzari.

 

di Alessandro Carli

 

Destini che si incrociano anche sul Titano. Nei primi anni del Cinquecento tre personaggi famosi furono ospiti della Repubblica di San Marino: Giulio II (a lui si deve la scelta dell’architetto “sammarinese” Bramante Lazzari per la costruzione della Basilica di San Pietro in Vaticano), Baldassarre Castiglione e Niccolò Machiavelli.

Del passaggio del Papa, avvenuto il 30 settembre del 1506, ne scrive il cardinale Adriano Castellesi, che faceva parte della delegazione pontificia. Il cardinale si limita a una breve descrizione: “Da lì (da Macerata Feltria) salimmo le eccelse penne, vette avvolte di nubi, tue, o Divo Marino”. Per approfondire la visita, accogliamo le parole di Paride Grassi, bolognese e maestro delle cerimonie della cappella Papale, uno dei membri del gruppo. “Mercoledì 30 settembre il Papa vedendo al mattino biancheggiare la neve sul monte, stabilì di partire (da Macerata Feltria) dopo aver pranzato, senza aspettare che si sciogliessero le nevi, e che le continue piogge notturne e ininterrotte scendessero per i letti dei fiumi.(…). Tra frequenti piogge il Papa raggiunse le Penne di San Marino e fu ospitato nel Borgo. Questo luogo comunemente viene chiamato Penne di San Marino per le altezze dei monti che si prolungano sia in altitudine sia in lunghezza che gli abitanti chiamano penne. Quivi io osservata una certa lapide assai antica appena leggibile lessi Pinnacoli dei Sammaritani invece di penne di San Marino, il che piacque”.

Giulio II avrebbe poi fatto tappa nel convento di S. Maria a Valdragone, dove sembra, scrive il Franciosi in “San Marino ospite suolo. Cronache antiche e notizie moderne”, “si compiacesse, non solo dell’ospitalità ricevuta, ma anche del buon vino che gli venne offerto da alcune primarie famiglie sammarinesi”. Il Papa poi marcò visita al Titano anche quattro anni più tardi, nel 1510, in occasione della guerra della Lega Santa, da lui bandita per opporre resistenza all’espansione della Francia (Giulio II fu il secondo pontefice che frequentò San Marino: il primo fu Gregorio XII nel 1408).

Niccolò Machiavelli invece salì sul Titano un giorno prima del Papa. Lui e Giulio II si erano già visti a Nepi mentre il Sommo Pontefice si stava incamminando verso il Titano. Machiavelli era stato inviato dalla repubblica di Firenze in qualità di agente diplomatico. Il percorso che fece può essere recuperato leggendo la “Legazione Seconda della Corte di Roma”: Nepi appunto, poi Civita Castellana, Viterbo, Orvieto, Perugia, Gubbio, Urbino e Cesena. Tra queste ultime due località, la visita sul Monte: “Da Urbino a dì 28 scrissi due lettere a Vostre Signorie, che l’ultima sarà alligata a questa. Partì l’altro di poi il Papa, secondo l’ordine dato, e ne andò a Macerata, ed io con li sette ottavi della corte me n’andai a San Marino, donde partii jermattina, e jarsera a 22 ore arrivai qui in Cesena, e il Papa jersera alloggiò a San Marino, e questa sera alloggia a Santo Arcangiolo, e domandassero fa la sua entrata qui”.

Ma cosa unisce Papa Giulio II a Machiavelli? La risposta è ne “Il principe”, l’opera che lo scorso anno ha compiuto 500 anni (fu pubblicato nel 1513 anche se l’autore ci mise mano sino al maggio 1514, come chiarisce nella lettera al Vettori del 10 dicembre 1513, “ingrasso et ripulisco”).

Nel libro difatti Giulio II è il modello di principe fortunato, perché la sua “virtù” (la specifica qualità della sua leadership: nel suo caso, l’impetuosità) si accorda al contesto strategico in cui si trova ad agire, producendo sempre conseguenze felici a fronte di una medesima ripetuta strategia. Il contesto è inteso da Machiavelli come l’insieme dei rapporti di potere e delle situazioni contingenti, il quale determina il successo o l’insuccesso di un’azione politica.

Machiavelli rileva inoltre come la breve durata del pontificato di Giuliano sia stata la causa delle sue fortune “…perché, se fussino sopravvenuti tempi che fussi bisognato procedere con rispetti, ne seguiva la sua rovina”.

Anche Baldassarre Castiglione l’autore de “Il Cortegiano”, salì sul Titano. Ce lo testimonia lui stesso nella lettera del 1509 destinata a “Gonzaga Castiglione, Aloisia”, in cui scrive testualmente “Avegna ch’io non habbia cosa alcuna da scrivere alla M.V. venendo questo messo, li ho vogliuto fare intendere come io sono tornato da San Marino, dove questi dì andai, per alcuni sospetti. Per Dio gratia le cose sono assai bene assettate”.

Viene da sé una riflessione tra Machiavelli e Castiglione: se per il primo il fine a cui è orientata ogni nostra azione è la preservazione di se stessi, nel secondo la preservazione diventa “cortegiania”, ossia il soggiornare a corte piacendo al principe.

Machiavelli invita a fare come gli arcieri prudenti (Il principe, cap. VI), che calcolano con precisione la traiettoria delle frecce, scagliandole tanto più in alto quanto più è distante il bersaglio; Castiglione, invece, esorta il suo apprendista cortigiano a un calcolo analitico e sistematico, a cui non sfugga nulla di ciò che deve essere fatto e detto.

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