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San Marino, anche la società civile nella governance dell’Università

da Redazione

La “filosofia” della riforma dell’ateneo illustrata dal Segretario Morganti. I dipartimenti caleranno da 6 a 2. Rettore affiancato da un manager.

 

di Loris Pironi

 

La legge destinata a “rivoluzionare” l’Università di San Marino è passata in prima lettura a novembre. Fixing ve l’ha raccontata sul numero 1 dell’anno (ritrovate l’articolo sul nostro sito, www.sanmarinofixing.com). Il dibattito consiliare è stato ricco e vivace: sono scaturite ben 24 proposte di modifica, o di integrazione, alcune delle quali sicuramente andranno ad arricchire il testo. A giorni, al massimo un paio di settimane, il nuovo testo sarà pronto per il passaggio in Commissione e poi per il ritorno in Aula. Al Segretario di Stato all’Università, Giuseppe Morganti, chiediamo di illustrarci la ‘filosofia’ della riforma.

“Lo sviluppo dell’Università a San Marino ha vissuto finora due fasi, ed ora, con la riforma iniziamo la fase tre. Il nostro ateneo è stato fondato su un principio che col tempo si è rivelato assai prezioso, quello di puntare sulla qualità. Questo concetto ha rappresentato le fondamenta, su cui è poi stato costruito il resto dell’‘edificio’, metaforicamente parlando che è la nostra Università. Attenzione: stiamo parlando di un edificio che è ancora basso: il nostro è un piccolo ateneo, ma credibile”.


E veniamo alla fase due. E alla fase tre…

 

“La fase due, lo riconosco con piacere, è stata avviata e portata avanti con passione dal Rettore Petroni, che ha saputo dare vita a corsi di laurea legati al territorio, in grado di dare risposte professionali alle PMI di un’area vasta che comprende non solo la nostra Repubblica ma anche la provincia di Pesaro e un po’ tutta la Romagna. Ma noi non possiamo fermarci qui ed ecco che diventa indispensabile una nuova evoluzione della nostra Università, indirizzata sempre più verso la ricerca e le collaborazioni internazionali. Per quanto riguarda la ricerca personalmente penso che sia possibile aprirsi a questo mondo, soprattutto in relazione con il progetto del Parco Scientifico e Tecnologico, in cui l’Università potrebbe avere un ruolo importante per la parte scientifica. Quando parliamo di collaborazione internazionale invece mi riferisco alla rete con altre università italiane e straniere, penso alle collaborazioni già in essere con Grenoble e Pechino, o con i contatti consolidati con università russe e statunitensi. Tutti quanti non vedono l’ora di collaborare con la nostra piccola realtà”.


Il concetto di internazionalizzazione ha una notevole rilevanza anche all’interno della stessa legge.

 

“Internazionalizzare significa dare ai nostri studenti la possibilità di andare all’estero, al di là dell’Erasmus che invece oggi è il nostro punto di grande debolezza, perché non essendo in Europa questa opportunità è concessa ai nostri studenti solo se studiano in Italia. Con il processo a cui intendiamo dare vita, grazie a una serie di accordi bilaterali saranno offerte agli studenti sammarinesi grandi opportunità. Ma lo stesso discorso varrà per i docenti, con l’accesso a corsi di formazione internazionali e quant’altro. Con la riforma la nostra università sarà un attrattore formidabile per i migliori docenti e per un sempre maggior numero di studenti”.


Come pensate di valorizzare il concetto di qualità?

 

“Seguendo due filoni, la valutazione e il reclutamento dei docenti. Per quanto concerne la valutazione adotteremo un doppio livello, da un lato l’autovalutazione, dall’altro ci avvarremo di valutatori esterni, servendoci di organismi europei di alto livello. Questo è fondamentale anche perché ci aiuterà a completare il percorso legato al Processo di Bologna, che consente agli atenei certificati di rilasciare titoli di studio riconosciuti senza la necessità di appoggio su altre università (come accade oggi, per San Marino, con Modena o Venezia, ndr). Anche questo sarà un passo fondamentale per la nostra crescita. Poi c’è il discorso legato al reclutamento dei docenti. Anche in questo ambito dobbiamo dare merito all’ex Rettore di aver creato una struttura con notevole flessibilità nei contratti con il personale docente, il che tiene lontano il pericolo della baronia e ci offre l’opportunità di prendere contatti non solo con docenti accademici ma anche con persone che provengono dal mondo delle professioni. In questa nostra Fase 3 noi intendiamo estendere i bandi di concorso andando a generare docenze sulla base di bandi europei, per attrarre personalità di sempre maggiore livello. E nel contempo intendiamo utilizzare sempre più professionalità sammarinesi, con un’apertura alle docenze da parte di residenti in Repubblica”.


La riforma dell’Università è soprattutto una riforma della governance.

 

“Con la nuova legge formalizzeremo il ruolo e la struttura del senato Accademico che è l’organo che ha la responsabilità diretta dell’attività didattica e accademica, organo che finora non c’era. Il CdA cambia nome ed aspetto e diventerà il Consiglio dell’Università, e sarà più aperto rispetto alla struttura attuale (oggi composta da tutti nominati dalla politica), nel senso che sarà più aperto alle altre realtà del territorio, compreso il mondo economico. L’ultima grande novità è costituita dall’introduzione della figura del Direttore Generale, che di fatto diventa il manager vero dell’Università: lavorerà in stretta collaborazione con il Rettore e avrà la gestione di tutte le funzioni amministrative e economiche”.


Avete in mente anche una vera e propria rivoluzione per quel che riguarda i Dipartimenti.

 

“È così. Oggi sono sei, noi intendiamo ridurli a due, nell’ottica di un principio fondamentale della formazione delle persone migliori, che porta a ragionare su due filoni, il principio dell’humanitas e quello scientifico-tecnologico. La nostra Università punterà su queste due componenti che devono essere in stretta correlazione: il nuovo professionista del futuro sarà uno scienziato-umanista e un umanista-scienziato”.


Sorpresa: di fronte a questo progetto sono già emerse diverse resistenze…

 

“Purtroppo è così, quando si ingenerano cambiamenti e si mettono in discussione posizioni consolidate si ingenerano proteste e malumori. Vorrei dire una cosa: la nostra già oggi è una buona università, ma col tempo si è un po’ inceppata, non riesce ad andare avanti, a guardare a certi nuovi obiettivi. Con la riforma abbiamo smosso questi meccanismi ma non è facile. Per essere onesti devo anche ammettere che c’è uno stadio di incertezza in questa fase di passaggio, ma è appunto di passaggio”.


Quali novità ci sono riguardo alla figura del nuovo Rettore?

 

“Noi vogliamo nominare il nuovo Rettore solo dopo aver approvato la nuova legge, per garantirgli pieni poteri e la massima autorevolezza. In questa fase di passaggio ci avvarremo di un vicario con poteri di transizione, ma sarà un’attesa di un paio di mesi non di più. Per la nomina abbiamo già iniziato a accogliere proposte davvero bellissime: mi piacerebbe che sposassimo il profilo di una figura che sappia valorizzare il legame dell’università col territorio, il mondo economico, la storia e le nostre istituzioni. Un Rettore, dirò di più, che possa essere il ‘manager’ del nostro distretto culturale”.


A proposito di distretto culturale, è da qualche tempo che non si sente parlare del progetto legato all’Economia della conoscenza.

 

“Anche qui abbiamo vissuto un periodo di stasi, ma ora stiamo ripartendo, con una collaborazione già in essere con l’Università di Ferrara, che porta avanti da tempo un progetto di economia legato all’ambito del management culturale, e in particolare con Fabio Donato, con cui metteremo insieme un gruppo di ragazzi in gamba che diventerà il nucleo pulsante del nostro distretto culturale”.

 

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