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San Marino, i violini di Marino Capicchioni

da Redazione

Cremona dedica al liutaio sammarinese una mostra sui suoi strumenti che hanno affascinato i grandi esecutori del ‘900. Intervista a Marcello Villa, che ha anche scritto un libro sullo “Stradivari” del Titano.

 

di Alessandro Carli

 

Un monumento posizionato vicino al teatro Turismo (firmato da Busignani Reffi), proprio sotto la strada che porta verso l’ingresso di Città, e poco più. Fortunatamente ci ha pensato il Museo del violino di Cremona che, dall’11 gennaio al 7 febbraio, ospita una mostra dedicata al liutaio sammarinese Marino Capicchioni. La città di Stradivari, da gennaio all’inizio dell’estate, ha deciso di dare luce alla propria cultura, proponendo un viaggio sulla conoscenza sulla liuteria italiana del Novecento. Il progetto, ideato e realizzato da Fausto Cacciatori, permetterà di rileggere in filigrana un secolo caratterizzato dalla grande ricchezza della diversità e dalle molte identità.

All’artista del Titano il compito, importante e prestigioso, di aprire “il concerto”: a Capicchioni è stato dedicato un incontro-conferenza il giorno del taglio del nastro (l’11 gennaio: all’evento è stato presente anche il Maestro Mario Capicchioni) e l’esposizione dei suoi strumenti in legno: il Quartetto premiato con medaglia d’argento al Concorso di Liuteria Moderna svoltosi a Cremona nel 1937 in occasione delle celebrazioni stradivariane, una viola del 1939, due violini appartenuti a Pina Carmirelli tra i quali l’amato “Ricciolino”, il violino di Antonio De Lorenzi, un violoncello del 1952 e due violini della produzione più matura.

Marcello Villa, Maestro liutaio, collezionista e storico della liuteria, conosce bene la storia dell’artista del Titano: ha curato il convegno nel giorno dell’ouverture, ma ha anche scritto un libro, uscito nel 2005 e che, spiega lo stesso Villa, “a ottobre verrà aggiornato. Ci sarà un’appendice che conterrà alcuni strumenti che nove anni fa non ero riuscito a recuperare”.

 

Siamo di fronte a uno dei grandi Maestri del Novecento.


“Marino Capicchioni è giustamente considerato uno dei maggiori maestri liutai del ‘900, un vero e proprio ‘classico’, il cui lavoro è oggi ricercato ed ambito da musicisti e collezionisti di tutto il mondo, per merito della bellezza, dell’eccellente sonorità e soprattutto della personalità dei suoi strumenti, che li rende praticamente inconfondibili”.

 

A Marino Capicchioni ha dedicato anche un libro.


“La pubblicazione è il frutto di diversi anni di ricerca, sia storica sia iconografica, circa la figura dell’uomo e artista Capicchioni – ricorda Villa – . Ho avuto modo di scoprire, oltre uno straordinario talento, una figura umana e professionale di grandissimo spessore, un liutaio attento, scrupoloso e allo stesso tempo fecondo, che seppe farsi apprezzare, non solo post-mortem, dai più grandi musicisti italiani ed esteri, alcuni dei quali tuttora custodi gelosi i suoi capolavori”.

 

Come si è mosso per recuperare le informazioni?


“Il mio impegno è stato quello di rintracciare e riproporre in fotografia gli strumenti appartenuti ai più importanti musicisti del ‘900 che ordinarono allo stesso Capicchioni, convinto che, per tali straordinari artisti, il Maestro abbia dato il meglio di sé e delle sue capacità. Ho voluto anche presentare ricordi, aneddoti e curiosità legati agli strumenti e ai loro proprietari, verificandone ad uno ad uno la veridicità, con un occhio di particolare riguardo per le registrazioni discografiche, delle quali sono da sempre un collezionista ‘maniacale’ e attraverso le quali il ‘suono Capicchioni’ è rimasto immortalato”.

 

C’è qualche aneddoto che l’ha particolarmente colpita durante il suo percorso filologico?


“Capicchioni era un autodidatta. Ad inizio Novecento il Monte era un luogo ancora abbastanza isolato: il posto ideale per formarsi come liutaio, visto che i grandi Maestri risiedevano a Bologna, Firenze, Roma o Milano. Grazie al suo talento e alla sua qualità, arrivò a una clientela incredibile. Era figlio di un falegname: il padre sistemava sgabelli, ruote e botti. L’attenzione e il saper lavorare in maniera così fine e allo stesso complicata la ereditò dal genitore. Sappiamo poi che suonava il sax, e poco più. Non ebbe, come dire, una formazione ‘da Conservatorio’. Seppe però farsi apprezzare dai più grandi musicisti del tempo: i suoi strumenti non vennero solamente venduti ma anche suonati per innumerevoli registrazioni. Capicchioni è uno dei pochissimi artisti del Novecento che può annoverare un’ampia discografia”.

 

Da chi sono stati suonati gli strumenti dell’artista sammarinese?


“Nelle mie ricerche ho scoperto con piacere e, a volte con stupore, che i ‘clienti speciali’ di Capicchioni, altro non erano che gli stessi artisti attraverso i quali mi sono appassionato alla musica ed al violino come Felix Ayo, Pina Carmirelli, I Musici di Roma, Salvatore Accardo, Yehudi Menuhin, Franco Gulli, David Oistrakh, Piero Toso, il Trio di Trieste, il Quartetto Italiano. Altri poi sono diventati oggi artisti di assoluto riferimento come Giuliano Carmignola, Rodolfo Bonucci ed il Quartetto Borciani”.

 

Il violino è stato al centro anche di alcune attenzioni letterarie e artistiche. Qual è, per lei, il fascino di questo strumento?


“Tanti si sono occupati del violino, uno strumento di una semplicità disarmante – è un legno con quattro corde – ma che cela un’incredibile difficoltà nell’esecuzione. In pochi lo suonano bene. Il violino ha una storia che affonda le radici nella leggenda: pensiamo a Paganini, alla foto di Man Ray (‘Le violon d’Ingres’), o all’epoca romantica. La chitarra, per esempio, è una strumento a pizzico. Una persona la suona, pizzica le corde, il suono raggiunge la sua massima forza e poi se ne va. Il violino, attraverso all’archetto, sollecita la corda e produce un suono continuo e riesce a riprodurre tutte le sfumature della voce umana. E’ uno strumento ancora molto utilizzato: si pensi all’orchestra di Sanremo, così da uscire dall’ambito della musica classica, ma anche alle colonne sonore dei film. Per me è lo strumento più espressivo, che se ben suonato può diventare sublime ma anche sa diventare anche sgradevole se suonato da un musicista mediocre o non in giornata. Il violino può mettere in difficoltà anche l’esecutore più eccelso”.

 

Crede che questa iniziativa possa essere replicata anche sul Titano?


“Credo di sì. Se si volesse… Non è facile però: a Cremona, per esempio, c’è un flusso costante di persone del settore e di appassionati. Nella città di Stradivari ci sono circa 150 liutai. A San Marino, come in altri luoghi, può essere però un’incognita”.

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