Nei primi anni Settanta ha iniziato a farsi strada un nuovo modello di sviluppo, in seguito all’avvenuta presa di coscienza del fatto che il concetto classico legato esclusivamente alla crescita economica, avrebbe causato entro breve il collasso dei sistemi naturali.
di Silvia Pazzini
Nei primi anni Settanta ha iniziato a farsi strada un nuovo modello di sviluppo, in seguito all’avvenuta presa di coscienza del fatto che il concetto classico legato esclusivamente alla crescita economica, avrebbe causato entro breve il collasso dei sistemi naturali. Il nuovo modello fonda le sue radici in tre capitali: umano (ovvero gli individui), economico (tutto ciò che da essi viene creato) e naturale (l’ambiente). Lo sviluppo sostenibile dipende dalla capacità della governance di garantire una interconnessione completa tra economia, società e ambiente, quindi non è da intendersi come uno stato o una visione immutabile, ma piuttosto come un processo continuo.
I primi accenni a questo modello risalgono al lontano 1972 quando a Stoccolma si istituì l’UNEP (United Nations Environment Programme) e dove furono emanati 26 principi sulla relazione tra benessere sociale e tutela del patrimonio ambientale (Dichiarazione sull’ambiente umano). Dello stesso anno è la stesura del saggio “Limits to Growth” pubblicato dal Club di Roma (Amburgo) che sottolinea l’esauribilità delle risorse umane, concetto allora tutt’altro che scontato. Solo nel 1980, a Nairobi, a seguito di una riunione mondiale nacque la strategia per la conservazione che introduce nel titolo del documento il concetto di sviluppo sostenibile (“world conservation strategy: living resource conservation for sustainable development”). Ma è solo nel 1987 al Summit di Tokyo che questo principio viene definito nel documento “Our common future”, anche noto come “rapporto Brundtland”, dove “lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che soddisfa i bisogni della generazione presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Nel 1992 al vertice ONU tenutosi a Rio de Janeiro (Earth Summit) viene prodotta la Carta di Rio e vengono approvati l’Agenda 21, la Convenzione per la conservazione della biodiversità, la Convenzione sul clima e la Dichiarazione autorevole di principi. Questi documenti sono la base operativa e pratica da cui partiranno poi normative e direttive mondiali ed europee per il conseguimento di uno sviluppo sostenibile. Nel 1994 e1996 si tengono le prime due Conferenze Europee sulle città sostenibili che formalizzano i concetti di partecipazione e di “buona governance del territorio”; con la sottoscrizione della Carta, città e regioni si impegnano all’attuazione dell’Agenda 21 a livello locale e all’elaborazione di piani d’azione per uno sviluppo durevole e sostenibile.
Nel 1997 a Kyoto si ha il terzo vertice ONU sui cambiamenti climatici che ha come documento prodotto il famoso “Protocollo di Kyoto” con le politiche e le misure per la riduzione delle emissioni di gas serra da parte dei paesi industrializzati. Nel 2002 a Johannesburg si è tenuto il quarto vertice mondiale “World Summit on Suitainable Development” dove con la produzione del documento Rio+10 viene convenuto un monitoraggio e il proseguimento dei lavori. Parallelamente ai vertici mondiali vanno avanti anche i lavori dell’Unione Europee e gli incontri delle Città Sostenibili; questo fa si che, ad oggi, questo modello di sviluppo è capillarmente presente in ogni attività umana tramite protocolli e certificazioni che permettono al consumatore di verificare se un prodotto è conforme o meno a una normativa che ha in queste riunioni mondiali le sue origini e il suo fondamento.