Siamo andati al vernissage della sua mostra, all’interno di Palazzo SUMS. Nessuna rivendicazione politica, ma solo spazio a spleen e silenzi.
di Alessandro Carli
Fotografie, dipinti fotografici, illusioni ottiche. Tratti naif, deliziosi, dietro a un’immagine reale, uno sfondo che porta lontano: quello del mare. Un mare da vedere ma non da toccare. Non da calpestare, da passeggiare. Un mare immaginifico e immaginario, così sfumato tra i grigi e i neri, da sembrare onirico. La prima sensazione è quella dell’immersione. Con la fiducia dei bambini, che non hanno mai paura. La seconda invece è una forma di rispetto grande, perché grande è il panorama che si staglia davanti agli occhi.
Se il buongiorno si vede dal mattino (ma in questo caso è meglio parlare di tardo pomeriggio vista l’ora del taglio del nastro della mostra di cui parleremo a breve), non c’è che da stringersi le mani e abbracciarsi: per il vernissage di “Blending” di Eron – il 15 novembre alle 17.30, quando fuori era già buio -, oltre 300 persone hanno oltrepassato la porta di Palazzo SUMS per poter ammirare le opere dell’artista riminese.
Dopo gli interventi dei segretari di Stato Matteo Fiorini, Giuseppe Maria Morganti e Teodoro Lonfernini, hanno preso parola il Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio San Marino SUMS Giovanni Nicolini, sponsor principale della mostra, il Presidente dell’Associazione Il Garage, Tony Margiotta e il critico d’arte Andrea Bruciati, curatore del catalogo “Eron / Blending”. Ed è stato proprio quest’ultimo a dare la chiave di lettura delle tele esposte.
“Un artista deve mirare all’obiettivo, suscitare emozioni, quando è bravo. Eron è uno di quegli artisti che indistintamente si sa muovere su vari fronti. Mi piace che la mostra si intitoli ‘miscela’ perché è solo guardando bene che una persona riesce a entrare nei quadri e scorgere che non ci troviamo dinanzi a acrilici o oli. L’importante è la resa finale. Le sue opere giocano sull’effetto della verosimiglianza: foto, frammenti, tratti desunti dalla Rete, un ‘luogo’ che spesso gli artisti giovani utilizzano come fonte di ispirazione. Tendenzialmente gli artisti di strada – quelli della street art – tendono a rivendicare qualcosa di politico, di violento. Devono esprimere il loro disagio. Per Eron il discorso è più sottile: la sua è una sorta di poesia raffinata della strada, dell’ambiente. Per queste seria di opere inserite sotto il titolo ‘Blending’, l’ho avvicinato a atmosfere felliniane perché per me è forte il senso di spiazzamento, la poesia, ma anche l’aurea metafisica che attraversa questi frammenti. L’artista offre uno sguardo diverso sulla realtà leggendola in maniera comunque critica”.
Spazio alle opere
Lettura che chiaramente condividiamo. In Eron – che il giorno dell’inaugurazione è arrivato, in lieve ritardo, e che ha preferito non parlare né farsi fotografare – vive una forma di rispetto per i fruitori delle sue opere. Ti mette i suoi tratti lì davanti, senza dare indicazioni. E l’approccio del visitatore diventa così puro, senza forzature. Parlano le sue tele, se le sai ascoltare. Parlano i colori grigi, i neri e i bianchi. Parlano i gabbiani, i fenicotteri, i pesci. La sua visione definita felliniana è profonda, ma profondo è anche il rispetto che ha per il silenzio. Eron ha 40 anni, una lieve barba, i capelli corti. Sembra che ci sia capitato, in queste mostre. Guarda le persone che guardano i suoi paesaggi, che partono da Rimini, forse, e uniscono, idealmente tutti i mari e le spiagge del mondo. C’è una forma di grande rispetto, nel suo voler lasciare la scena alle opere. Di Fellini però Eron prende soprattutto la parte più malinconica, quella della memoria, del passato. Quella dell’assenza di rumori, di voci (in ogni opera non si sentono mai voci: c’è la bimba che rincorre un gabbiano, una barchetta di carta che galleggia e anticipa un fondale indefinito, lontano, forse invernale, un delfino che esce dall’acqua per vedere dove finisce l’orizzonte), che lascia addosso, dentro, un profondo senso di pace. Di quiete. Non ci sono mai forzature, spigoli, dolori. Ci sono spleen, certo, ma fanno parte dell’arte, quando sa essere, a modo suo, universale.
In mostra
A Palazzo SUMS, sino al 12 gennaio, si possono ammirare circa 20 opere. Il giorno del taglio del nastro San Marino Fixing era presente. Oltre alla dolcezza delicata dei quedri esposti, ci ha colpito la trasversalità del pubblico: bambini, autorità, persone anziane e giovani, alcuni “colleghi” di Eron. Tutti affascinati, interessati a quello che vedevano. Ci sono piaciuti i due fenicotteri, uno grigio e uno rosa, che sembrano specchiarsi uno nell’altro per trovare una forma di unità. Portano, in questo contatto, un messaggio d’amore. Il bisogno, primario, di ricerca di uno sguardo ricambiato. Ci ha colpito il quadro della ragazza che dà le spalle al visitatore per inseguire quello che sembra essere un gabbiano stilizzato, quasi a volerci dire che – nonostante i protocolli sociali – i sogni devono essere inseguiti. La luce che accompagna la fanciulla e la sua borsetta a tracolla ci ricordano la fiducia che Alice concede al Bianconiglio: lasciarsi alle spalle un reale per inseguire quello che ci illumina. Ci è piaciuta la passeggiata al mare di una persona e un cane, avvolti da una danza di gabbiani. Figure che solo chi sa sognare riesce e vedere. “Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi se ne ricordano”. Antoine De Saint-Exupéry, ieri. Oggi invece ce lo conferma Eron.