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Editoriale. Non si fermi la riforma tributaria

da Redazione

Sulla riforma tributaria la posizione di Fixing è stata chiara e inequivocabile sin dall’inizio. Va portata a casa nel più breve tempo possibile, in modo da farla diventare operativa già dal 1 gennaio 2014.

 

di Loris Pironi

 

Sulla riforma tributaria la posizione di Fixing è stata chiara e inequivocabile sin dall’inizio. Va portata a casa nel più breve tempo possibile, in modo da farla diventare operativa già dal 1 gennaio 2014. Anzi, a dire il vero la madre di tutte le riforme sammarinesi avrebbe dovuto già essere in vigore da quest’anno, se solo non fosse stata colpevolmente affondata nella passata Legislatura. Un errore che è costato molto caro al Paese in termini di mancate entrate. Tanto che per recuperare il denaro perso lo scorso anno già oggi sono richiesti sacrifici ben maggiori. E nel malaugurato caso che la riforma slittasse al 2015 il conto per i contribuenti sarebbe infinitamente più salato. È per questo che definiamo insostenibile la posizione di chi vorrebbe far saltare, ancora una volta, il banco. Chi non approva la riforma e per questo vorrebbe resettare tutto quanto per ripartire da zero, senza tenere in considerazione le conseguenze di tutto questo. Al sindacato, in particolare, ricordiamo che non sempre ha ragione chi è capace di portare 8 mila persone in piazza, ché le proprie ragioni si possono e si devono far valere in altri modi. Detto questo, con il sindacato concordiamo sul fatto che la riforma deve essere equa, ma equa per davvero, e deve comprendere tutti gli strumenti affinché i redditi, tutti i redditi, siano fatti emergere. Anche noi pensiamo che le entrate non possano arrivare dai soli lavoratori dipendenti – così è troppo facile – ma nel contempo siamo convinti che il nodo dei liberi professionisti oggi sia solo un pretesto o poco più, al massimo una questione di principio. E poi le ragioni del sindacato le superiamo di gran carriera perché siamo convinti che i conti pubblici possano essere rimessi in equilibrio non tanto (non solo) con le imposte dirette quanto con quelle indirette, e dunque con il passaggio dalla Monofase all’IVA. Poi c’è il discorso delle fibrillazioni politiche. Una democrazia intelligente, matura, è quella in cui si affida il compito di governare alla maggioranza scelta dal popolo, tenendola sempre sulla graticola ma consentendogli di lavorare per l’intera Legislatura: sono poi i cittadini a doverne giudicare l’operato decidendo eventualmente di mandarli a casa. Anche in questo caso lo sosteniamo da sempre e lo sosterremmo qualunque maggioranza si componesse. Purtroppo malgrado i secoli, questa maturità democratica è ancora ben lontana dall’essere praticata.

Chiudiamo con una postilla che però riteniamo fondamentale chiarire. Nei giorni scorsi è stato reso noto il fatto che lo scorso anno poche imprese sammarinesi hanno presentato utili, su cui pagarci sopra le tasse. Giusto per ribadire che sono sempre e solo i lavoratori dipendenti a fare i conti con l’erario. Questo in realtà non è un dato che va letto in maniera scevra dai soliti populismi. C’è un motivo se, da che mondo è mondo, le imprese pagano le tasse solo sugli utili: è perché il loro apporto alla collettività va ben oltre questo aspetto. Un’azienda dà lavoro, paga stipendi, versa contributi pensionistici. Permette al Paese di esistere non solo sulla carta. E se malgrado cinque anni di crisi è ancora lì che lotta per restare a galla, significa che prima o poi riuscirà anche a tornare a versare qualche euro di tasse, anche se non è certo questo ciò che conta realmente.

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