Per l’ANIS non si fa abbastanza per rilanciare lo sviluppo e creare occupazione. Il sindacato: Su 50 fallimenti solo in 5-6 casi si porterà a casa qualcosa.
di Loris Pironi
Marina è una donna giovane che ha subito duri colpi negli ultimi tempi. Ha trent’anni, si è da qualche tempo separata dal marito, è una segretaria amministrativa. O meglio, era una segretaria, perché poco più di un mese fa ha perso il lavoro, e le sue prospettive non sono certo radiose. Non ha figli ma, perso l’unico reddito che aveva a disposizione, e una volta consumati tutti gli ammortizzatori sociali non sa cosa gli riserverà il futuro: con il solo diplomino in tasca e un’esperienza impiegatizia – senza particolari complessità – da “vendere”, sa bene che farà fatica a ricollocarsi.
Quello di Marina e tutti gli altri che leggete qui sono nomi di fantasia, e ci servono per tutelare la riservatezza delle persone. Ma le storie dietro questi nomi, storie drammatiche, difficili da mandare giù, sono tutte vere. Soprattutto, sono storie ricorrenti, che vi proponiamo perché purtroppo simboleggiano sin troppo bene il dramma dell’occupazione a San Marino.
Ecco dunque un’altra storia. Giorgio ha 50 anni, è un operaio specializzato. La sua azienda è stata costretta a una sostanziosa riduzione di personale, e si teme che questo sia solo l’inizio di una china che porterà alla chiusura definitiva nell’arco di poco tempo. Giorgio è stato messo in mobilità da alcune settimane e sua moglie, che è stata lasciata a casa dalla sua azienda ormai due anni fa, sta per finire gli ammortizzatori sociali. Sulla loro casa grava un mutuo, difficile da estinguere a questo punto.
Poi c’è Giovanni, un lavoratore sammarinese che rappresenta un caso limite. A 58 anni ha accettato il prepensionamento – e tutto quanto ne consegue – per non portare via il posto ai più giovani. Il suo è un esempio di solidarietà che contrasta nettamente con la lotta col coltello tra i denti che si verifica nelle aziende, di questi tempi, e non solo sul Titano. Avendo infatti versato i suoi 40 anni di contributi in parte in Italia e in parte a San Marino, oggi Giovanni può prendere la parte di pensione sammarinese che gli spetta, ma grazie all’ex Ministro Fornero dovrà attendere di aver compiuto 67 anni per ricevere anche quella italiana. Così per i prossimi dieci anni dovrà fare i conti con meno di un migliaio di euro mensili di pensione. Onore al merito per il coraggio della scelta.
L’ultimo caso che raccontiamo è quello di Luca, italiano, frontaliero. Ha perso il suo lavoro da operaio in una piccola ditta sammarinese, ha appena 27 anni e tutta una vita davanti. Ma nell’incontro che poche settimane fa ha sancito la conclusione della sua esperienza lavorativa in Repubblica ha raccontato che sua madre non lavora, e suo padre è da poco incappato in un fallimento – i clienti che non pagano, le banche che stringono il cappio, le solite cose insomma – il suo era diventato l’unico reddito di quella famiglia.
I numeri non possono raccontare il dramma
Il dramma del lavoro è che i numeri sono troppo freddi. Non raccontano. Per certi versi milletrecento è uguale a diciotto, anzi fa meno effetto, perché è un numero troppo difficile da concepire.
Il dramma del lavoro, a San Marino, è che ci stiamo abituando a quello che sta accadendo. Ogni settimana Palazzo Mercuri, sede della Segreteria di Stato per il Lavoro, ospita gli incontri tra sindacati e associazioni di categoria per prendere in esame le riduzioni di personale. L’imbarazzo del datore di lavoro, la presa di coscienza dell’amara realtà del lavoratore che deve incominciare a pensare a un futuro diverso, senza certezze all’orizzonte.
Se milletrecento è una cifra di difficile comprensione, proviamo a scomporla. Nel solo 2013, non ancora concluso, sono 570 i licenziamenti compiuti.
È un bollettino di guerra 70 licenziati in un mese
L’ANIS ci fornisce il proprio resoconto dell’ultimo mese, ed è un vero e proprio bollettino di guerra, proprio come quelli precedenti. Tenete conto inoltre che, sia pure con numeri minori, anche le altre associazioni di categoria si occupano di questo ingrato compito. L’ultima riunione, questo giovedì, ha sancito un totale di 21 licenziamenti, con 7 aziende coinvolte. Per la verità, tra questi, solo un caso ha toccato ben 21 lavoratori, ma nella nostra statistica ci limitiamo a conteggiare i 10 che sono rimasti a casa in via definitiva. I ventuno licenziati in un sol colpo del 31 ottobre adesso vi fanno ancora meno effetto dei 18 bidelli lasciati a casa?
La settimana precedente, nella riunione del 24 ottobre, i licenziamenti operati sono stati 14, spalmati su 5 imprese. Il 10 ottobre si è toccato il massimo del mese, con ben 27 persone lasciate a casa da 5 diverse aziende. Il 3 ottobre le imprese che si sono sedute al tavolo erano 4, e 8 sono stati i lavoratori coinvolti. Il totale: 70 vittime della crisi in un sol mese.
Non si fa abbastanza per superare la crisi
“Sono numeri davvero difficili da accettare per la nostra realtà – spiega il Funzionario dell’Associazione Nazionale dell’Industria Sammarinese William Vagnini – Un problema sociale che coinvolge tante, troppe famiglie. Finora si è tentato di arginarlo potenziando gli ammortizzatori sociali, ma anche questo non basta, occorre fare di più, perché tutti i settori si stanno contraendo e non ci sono segnali per un’inversione di tendenza”. “Si sta facendo troppo poco – prosegue Vagnini – per attrarre nuovi investimenti e portare così nuova occupazione. La battuta d’arresto che si è verificata in merito all’impegno di realizzare n quadro di norme per il rilancio dell’economia, a partire dalla Legge Sviluppo, è sotto gli occhi di tutti. La riforma del mercato del lavoro? È uno dei tasselli che dovranno essere messi al posto giusto, ma da sola chiaramente non è sufficiente. È per questo motivo che come ANIS abbiamo chiesto alla politica di ridare vigore al Tavolo per lo Sviluppo”.
Ma tornando dal generale al particolare, il dramma delle riduzioni di personale tocca anche l’imprenditore. “Non bisogna dimenticare che prima di ricorrere ai licenziamenti l’imprenditore batte tutte le altre strade, per una riduzione dei costi e una ristrutturazione della propria attività. Alla fine però ci si ritrova a dover compiere scelte che sono dolorose e complicate, soprattutto perché si conoscono le situazioni personali dei propri dipendenti e talvolta si deve rinunciare a collaboratori che sono rimasti con te per tanti anni. Non c’è nulla di facile in questi casi. Per nessuno”.
Quando viene meno l’unico reddito rimasto
“Quando il marito o la moglie perde il lavoro è un duro colpo per una famiglia, ma l’urto ancora si regge. Il dramma è quando a venire meno è l’unico reddito, e questa situazione si sta verificando sempre più spesso”. Ci racconta che non ci ha ancora fatto il callo, Enzo Merlini, sindacalista, segretario della Federazione Industria della Csdl, ad affrontare settimana dopo settimana le vicende di vita vissuta che ci sono dietro i freddi numeri della crisi del lavoro. “Così come per i lavoratori, è vero anche che non sono tutti uguali anche tra gli imprenditori. Se c’è chi alle prime avvisaglie della crisi pensa subito a ridurre il personale, ci sono tanti datori che sul campo dimostrano di voler continuare a difendere l’impresa e i propri collaboratori, facendo di tutto per non mollare”. Per Merlini c’è poi il problema delle piccole aziende non capitalizzate che vanno verso il fallimento senza lasciare niente dietro di sé. “Anche in questo caso è un problema del sistema, non dell’imprenditore. Quando l’azienda che chiude i battenti non ha capitale, di fatto non c’è quasi nulla da recuperare. Questo è un danno non solo per i dipendenti, che peraltro sono i primi a essere pagati, ma anche per l’ISS che non incassa i contributi e per l’erario. Nella cinquantina di casi di fallimenti aperti tra il 2006 e il 2012, solo in 5-6 casi si riuscirà alla fine a portare a casa qualcosa, ed è un dato di fatto”. Ben vengano, dunque, gli incentivi previsti dalla Legge Sviluppo non solo per chi assume ma anche per chi si ricapitalizza. Altro problema, la sofferenza del Fondo Ammortizzatori Sociali, pagato dalle imprese e dai lavoratori. “È inaccettabile”, conclude il Segretario della Fuli-Csdl con un appello che già più volte era stato lanciato anche dalla controparte degli industriali “pensare di aumentare, a partire dall’anno prossimo, la quota da versare al Fondo. Lo Stato deve trovare altri modi per finanziarli, non ci sono alternative”.
Delusione e rabbia
Delusione e rabbia. Sono questi i sentimenti con cui ci troviamo a combattere quando pensiamo al dibattito pubblico e a quello politico in particolare, sui problemi del lavoro a San Marino.
L’apertura di Fixing di questa settimana è un “pezzo” scritto col magone. Dalla prima all’ultima riga. Un pezzo che è scaturito da un interrogativo: come è possibile che facciano così scalpore il “caso” dei 18 bidelli e cuochi a cui lo Stato-mamma non ha rinnovato il contratto (dopo aver fatto chissà quali promesse e generando aspettative evidentemente ingiustificate in queste persone) e quello dei 17 dipendenti di Euro Commercial Bank che hanno perso il posto nell’acquisizione dell’istituto da parte del gruppo Banca CIS, mentre i 1.300 posti di lavoro persi nel settore privato non fanno notizia? Sui due casi che abbiamo citato è stata montata una polemica incredibile. Su tutti gli altri licenziamenti, un vero e proprio stillicidio, è invece calato un velo di ipocrisia. Ebbene, se nessuno ne parla abbiamo deciso di farlo noi. Raccontando queste piccole storie che, a snocciolarle una ad una, acquisiscono una nobiltà senza pari. Leggetele. E meditate.