Quando servono per difendersi, quando invece ci bloccano. Le prospettive di sopravvivenza raccontate da Primo Levi.
di Simona Bisacchi Lenic
Le barriere rendono vulnerabile chi le costruisce, non solo chi rimane chiuso fuori.
Eppure, se non costruisci un recinto il tuo bestiame scapperà, un lupo entrerà, un ladro si avvicinerà.
Ma quante sono le barriere costruite per proteggersi? E quante quelle costruite per non essere messi in discussione, per non dover fare i conti con qualcosa – o qualcuno – di diverso?
Quante sono le barriere che difendono la nostra terra?
E quante, invece, quelle che limitano i nostri pensieri?
Non possiamo che rimanere stupiti, ammirati e grati a Primo Levi che ci racconta che “La facoltà umana di scavarsi una nicchia, di secernere un guscio, di erigersi intorno una tenue barriera di difesa, anche in circostanze apparentemente disperate, è stupefacente, e meriterebbe uno studio approfondito. Si tratta di un prezioso lavorio di adattamento, in parte passivo e inconscio, e in parte attivo” (da “Se questo è un uomo”). Una testimonianza che mostra una prospettiva di sopravvivenza – e dignità – in mezzo all’orrore. E non un orrore qualunque, ma quello dei lager nazisti. Allora la barriera non è più limite, o indifferenza, è il difendere la propria umanità in mezzo al disumano agire.
Leggendo Levi si nota nelle sue parole una sospensione del giudizio. Racconta quello che gli accade, non inventa nulla, eppure non emette sentenze. È il lettore che deve arrivare a provare vergogna, o speranza. L’autore non giudica. L’autore non costruisce un’altra barriera, mentre ogni giorno, in ogni istante, la barriera del giudizio e della condanna è a portata di parola. Basta una frase per elevare la propria mannaia su situazioni e persone, di cui – in realtà – non si sa nulla. Un “sentito dire”, un’impressione, e la lingua è pronta a tagliare teste. Le proprie teste vengono tagliate fuori dalla comprensione, e dalla possibilità di conoscere. Le proprie parole creano muri spessi ed elevati. Muri che – una volta costruiti – possono essere abbattuti solo tramite gesti. E per quanto è facile far uscire parole dalla bocca, tanto è difficile tirar fuori le forze per un’azione che abbatta il cemento tra le persone.
“Scopo della scienza non è tanto quello di aprire una porta all’infinito sapere, quanto quello di porre una barriera all’infinita ignoranza” precisa Bertolt Brecht nella sua “Vita di Galileo” (1938-1939). Ignorare non significa essere stupidi, ma non conoscere e illudersi di muoversi liberi perché solo una dogana divide una nazione dall’altra, o perché davanti a un computer si può circumnavigare il pianeta. Senza accorgersi che in un mondo senza confini, si continua a scrutare l’orizzonte all’ombra delle barriere che ci si è costruiti.