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Cesena, teatro: la recensione dello spettacolo “Tifone” di Chiara Guidi

da Redazione

Un’ora di apnea, tra scosse semantiche e sferzate di voci, vocine, vocette, lì dove la battaglia del capitano MacWhirr contro il fenomeno meteorologico non è altro che lo scontro con il linguaggio, con una scrittura per la scena che deve fare i conti con le parole di un’azione drammaturgica che utilizza la scenografia non più come elemento predominante.

 

di Alessandro Carli

 

CESENA – La mia allergia – chiedendo scusa all’immenso poeta marchigiano Massimo Ferretti, che ha intitolato una sua strepitosa raccolta proprio così, “Allergia” – ai reading è atavica: è una forma artistica mortifera, un saggio di voce senza palpiti (dopo Carmelo Bene è inutile dilettarsi nelle letture con il leggìo: il paragone è insostenibile), un espediente per conciliare il sonno (viene da sé che a teatro si dorma molto bene). Accadono per eventi che possono anche far ricredere chi scrive. Uno dei rari esempio ha un nome di donna, Chiara Guidi della Socìetas Raffaello Sanzio, un tutor d’eccezione, Joseph Conrad, e un musicista bravo, il pianista Fabrizio Ottaviucci. Insieme, all’interno del cartellone “Màntica”, sono andati in scena con “Tifone”, lettura per un pentagramma avvolto nel buio, e strutturato sulla grande forza vocale di Chiara Guidi, abile Achab in mezzo al “Tifone”. Un’ora di apnea, tra scosse semantiche e sferzate di voci, vocine, vocette, lì dove la battaglia del capitano MacWhirr contro il fenomeno meteorologico non è altro che lo scontro con il linguaggio, con una scrittura per la scena che deve fare i conti con le parole di un’azione drammaturgica che utilizza la scenografia non più come elemento predominante. Ben equilibrate le luci, che sormontano una spazialità ben definitiva: la musica e la voce. Una storia, fatta di personaggi, che odorano di salsedine, di miseria. “Tifone” nasce nella pancia di Chiara Guidi, inonda la platea, e si allontana, ma solo alla fine, per rifugiarsi tra gli 88 tasti del pianoforte.

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