Inaugura all’interno di Asset Banca una mostra su Gian Franco Arlandi. Riscoprire le opere di uno dei grandi Maestri dell’avanguardia italiana.
Negli interstizi che si compiono nella creatività della mente e del gesto si incardina l’opera di Gian Franco Arlandi, un cesellatore del pensieri che, come scrisse Luigi Picci, “ha indagato le origini della Armonia come unione di Bellezza, Bontà e Verità. Come un pensatore medievale, alla maniera di Sant’Agostino, Boezio o San Tommaso, Arlandi aveva trovato in Dio, nell’idea stessa (ma per lui era anche una presenza) di Dio la ragione d’essere d’ogni bellezza, conoscenza, verità e giustizia”.
Si specchia in questa levigata descrizione “Gian Franco Arlandi: Arte, Segno, Poesia”, la mostra ospitata all’interno della Sala Convegni dell’Asset Banca dall’8 al 20 novembre: un momento di incontro tra l’arte come segno e la sua possibilità di diventare cultura, di innalzare l’anima e la percezione dell’uomo. In lui, la visione laica della storia e dell’uomo si esalta negli aspetti più intimi del Verbo cristiano: puro, francescano e colto. Lo studio degli equilibri geometrici del segno, del colore, della parola, del suono, conduce Arlandi alla ricerca del perfettibile attraverso l’essenzialità delle forme. La poetica di Arlandi è “estetica dell’ethos” senza la quale l’uomo non è. Arlandi riprende il percorso tracciato da Malevic e da Mondrian, laddove la supremazia del pensiero logico sulle astrazioni fantastiche e irrazionali mitiga la progressiva, hegeliana morte dell’arte. Arlandi, caposcuola di purezza, esalta il valore morale del logos (Axiò-logia). Axiolografico è il segno che si fa etico, incontaminato, incorruttibile.
“Oggi ad una stragrande quantità di persone piace il brutto – ebbe modo di dire l’artista – , piace lo sgomento, piace il violento, altrimenti non saremmo in un’epoca di terrore e di scontri frontali fra opposti schieramenti. Il Kitch è dominante, quindi oggi la storia dell’arte si è inceppata ed anche la filosofia dell’arte si trova davanti ad una situazione difficile”. Alla luce delle sue considerazioni appare chiaro come il mercato non abbia mai condizionato le scelte di Gian Franco Arlandi (è sorprendente come sia riuscito a mantenere intatta la sua solitudine così lontana dai riflettori) e la mostra è un omaggio al suo lavoro e all’essenza dell’avanguardia italiana. Si comprende allora da subito che risolvere il tutto con l’affrettato giudizio del “mi piace/non mi piace” non è davvero più possibile. La comprensione delle opere non consiste nella celebrazione del genio, nella pura contemplazione ma nella paziente osservazione dell’itinerario compiuto dall’artista.
Di qui la duplice importanza della mostra: l’originalità del taglio (la singolare storia di un umanista raccontata attraverso alcune delle sue opere) e la rilevanza culturale del personaggio; era artista, filosofo, semiologo, docente, poeta. Infine nel progettare una mostra occorre individuare e convocare nella loro fisicità opere d’arte il cui spostamento sia compatibile con la loro conservazione e con l’attrattività dei luoghi nei quali essa viene allestita. Non è dunque un caso che San Marino, già terra di Giusti, ospiti ora una mostra di Gian Franco Arlandi: durante la guerra, da soldato, fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre e riuscì miracolosamente a scappare dal treno diretto in Germania. Subito dopo il conflitto raggiunse Don Zeno Saltini e Danilo Dolci e diede il suo contributo alla costruzione di Nomadelfia sorta sull’ex campo di concentramento di Fossoli. A San Marino ci sono dunque strade, oggetti, suoni che in qualche modo portano un lievissimo senso della presenza di Arlandi. L’artista aveva passeggiato dentro un sogno e la sua fantasia artistica aveva percorso strade sperimentali senza che la risonanza di quei passi astratti cessasse mai di mostrargli la via del futuro. Che sempre Arlandi si impegnò a progettare e inventare.