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Teatro, la recensione dello spettacolo “Giudizio, Possibilità, Essere” di Romeo Castellucci

da Redazione

La punteggiatura dello spettacolo corale – che in alcuni passaggi ricorda l’incanto degli episodi della “Tragedia endogonidia” – sin dai primi respiri si distingue per ordine registico e forza verbale.

 

di Alessandro Carli

 

CESENA – Rumori. Solo apparenti, che arrivano da M87, la via Lattea. Dapprima lievi, poi, in un continuo e assordante crescere, deflagranti, feroci, che entrano dalle orecchie dello spettatore per stabilirsi, e trovare una nuova cassa di risonanza, nel petto. Un silenzio ovattato, poi la processione: un gruppo di liceali del Ginnasio, vestite in maniera rigorosa, entrano in scena. Prendono in mano le forbici, si tagliano la lingua, e spargono sangue e latrati di dolore. Una ad una, come in un rito antico, di autoflagellazione. Terminata l’autopunizione, si ricompattano, come opliti dell’antica Grecia, e attendono. Un cane, dal fondale, irrompe nella scena. Annusa i pezzi di lingua, e li divora. Poi, come se nulla fosse accaduto, se ne va. E’ questo l’incipit, semplicemente meraviglioso, di “Giudizio, Possibilità, Essere”, il nuovo lavoro di Romeo Castellucci, regista e fondatore della Socìetas Raffaello Sanzio. L’esercizio di ginnastica su “La morte di Empedocle” di Friedrich Hölderlin – andato in scena nella palestra Spinelli e inserito nel programma 2013 di “Màntica” – è una lama che ferisce, ma allo stesso tempo diventa, nella bellezza dell’arte che diventa generatrice di “altra vita”, riflessione sul ruolo catartico della tragedia. La punteggiatura dello spettacolo corale – che in alcuni passaggi ricorda l’incanto degli episodi della “Tragedia endogonidia” (viaggio in più puntate dello stessa compagnia cesenate, uno dei lavori che Italo Calvino avrebbe portato nel nuovo millennio) – sin dai primi respiri si distingue per ordine registico e forza verbale: delicato, struggente, doloroso, questo “Giudizio, Possibilità, Essere” conferma la forte matrice simbolico-cristiana che attraversa da sempre la produzione della Raffaello Sanzio: tre nomi per una trinità che oggi, quasi in un processo di autodefecazione (geniale la chiusura del parto di una nuova possibilità di vita: le attrici si compattano, e da un magma di membra, ‘escono’ le teste della nuova drammaturgia; si spogliano nude, si abbracciano, e camminano verso un nuovo Altrove), trova nuovi linguaggi per parlare anche al presente.  

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