Home FixingFixing San Marino, come pulsa il quorum: al voto c’è andato oltre il 40% degli aventi diritto

San Marino, come pulsa il quorum: al voto c’è andato oltre il 40% degli aventi diritto

da Redazione

Non venite a raccontare che il referendum è stato affondato dal quorum, perché oltre il 40% dei cittadini sammarinesi ha preso la via delle urne e si è pronunciata.

 

di Loris Pironi

 

Non venite a raccontare che il referendum è stato affondato dal quorum, perché oltre il 40% dei cittadini sammarinesi ha preso la via delle urne e si è pronunciata. E se i “sì” sono stati abbondantemente meno del 32% richiesto, ciò significa che i cittadini sammarinesi si sono pronunciati, esprimendo chiaramente la propria opinione. Quelli che hanno votato “sì” quanto tutti gli altri, cioè quelli che si sono recati alle urne e gli altri che sono rimasti a casa. Perché non è un caso che tutte le democrazie in cui sono in vigore strumenti di coinvolgimento diretto dei cittadini come in questo caso, le dinamiche referendarie prevedano un solo modo per dire “sì” e diversi per dire “no”, compresa la scheda bianca, la nulla o la non partecipazione al voto.


Obiettivo: far vincere la minoranza

 

Il fatto è che la legge sammarinese è inevitabilmente arzigogolata, per preservare le peculiarità di un piccolo Stato con tanti “figli” sparsi per il mondo con i quali serve mantenere un cordone ombelicale. Ma il quorum di cui tanto si parla è un particolare tipo di quorum, che non riguarda il tetto minimo di partecipanti al voto rispetto al totale (il famoso 50%+1 che si usa altrove). Per paradosso, se questa volta si fosse recato alle urne oltre il 60% degli aventi diritto, divisi esattamente a metà, il voto non sarebbe stato valido comunque.

Bene, con il “quorum per opzione” previsto dalla legge sammarinese, sarebbe bastato il parere favorevole di un terzo – appena un terzo – degli degli aventi diritto. Purtroppo però due persone su tre chiamate alle urne hanno fatto sapere di non essere d’accordo con queste scelte e i referendum non sono passati.

Oggi poi si dà per scontata una ulteriore riduzione del cosiddetto quorum: significa che la prossima volta per prendere decisioni cruciali per il Paese (anche con ricadute sui conti pubblici o con un impatto potenzialmente deflagrante sul tessuto sociale, come in questo caso), basterà che si pronunci un sammarinese su quattro. A conclusione di questa riflessione, anche se è giusto tarare gli strumenti per renderli più efficaci, questa volta il discorso è diverso. Perché si rischia di dar vita a un sistema in cui la vittoria va alla della minoranza. Inutile dire che questo darebbe un bel colpo di spugna a una democrazia che, con tutti i suoi limiti, vanta una tradizione millenaria.


Le ipocrisie sul voto estero

 

Quello che nessuno ha il coraggio di dire è che il voto estero è tanto comodo (ai partiti, soprattutto quelli con una struttura più stratificata e ramificata) alle elezioni politiche quanto fastidioso in occasione dei referendum. Fa comodo il voto degli elettori argentini quando si tratta di aiutare questo o quel candidato a entrare in Consiglio Grande e Generale, ma poi non si possono tenere fuori dai giochi quando ci si deve pronunciare anche su questioni che non li riguardano come nel caso delle retribuzioni dei connazionali che vivono a migliaia di chilometri di distanza. E se si decidesse di depotenziare il loro apporto in caso di referendum con qualche strumento legislativo, tutto il castello di carta del voto estero rischierebbe di crollare. È una questione di ipocrisie diffuse, ma anche in questo caso c’è poco da fare, rientrano nel Dna politico, e non parliamo solo del Titano…

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento