Come Fixing vi aveva anticipato la settimana scorsa, i due referendum si sono rivelati un boomerang per chi li ha proposti.
di Loris Pironi
Come Fixing vi aveva anticipato la settimana scorsa, i due referendum si sono rivelati un boomerang per chi li ha proposti. Il fermo diniego che i cittadini sammarinesi hanno posto di fronte alla richiesta di imprimere un’accelerazione al percorso di adesione verso l’Unione Europea è emblematico: ora si può provare a dare una lettura “morbida” a questo voto, ma la volontà dei sammarinesi di non aprirsi e piuttosto di chiudersi a riccio è un dato di fatto. Il caso del sedicente referendum salva-stipendi è ancora più clamoroso. Così clamoroso che, pur avendo definito questo risultato “una vittoria politica”, il Segretario Generale della Cdls Marco Tura ha rassegnato le dimissioni. Un gesto di responsabilità nobile: al momento di andare in stampa non si conosce la decisione del parlamentino confederale ma confidiamo che le dimissioni vengano respinte. Confidiamo in questo anche perché al di là dei proclami bellicosi, la Cdls al tavolo della trattativa per il rinnovo del contratto industria ha comunque dimostrato quel senso di responsabilità civica a cui avrebbe dovuto abdicare in caso di vittoria del “sì”.
Salva-stipendi: chi ha vinto?
Qualcuno ha subito sostenuto che la bocciatura di questo quesito sia stata una vittoria di ANIS. Se proprio di vittoria vogliamo parlare, forse sarebbe giusto dividere il merito tra tutte le associazioni che, per motivi di prospettiva e non di convenienza di parte, si sono schierate contro il salva-stipendi (compresa la maggioranza del sindacato: l’USL era per il “no”, la Csdl ne aveva elegantemente preso le distanze).
Ma soprattutto, va divisa tra gli oltre due terzi degli aventi diritto al voto che hanno deciso di non credere a questa favola. Sulla politica invece stendiamo un velo perché a parte qualche posizione ponziopilatesca, sono in pochi quelli che hanno deciso di pronunciarsi. I casi del Pdcs e del Psd, tirati in ballo nella lettera-sfogo di Marco Tura, sono da approfondire. Da via delle Scalette hanno dovuto invitare alla scheda bianca (che equivale al “no”) con una scelta sofferta perché chi aveva proposto il quesito è il sindacato più vicino alla propria base, mentre il Psd, lasciando ai propri elettori “libertà di coscienza” (ma il voto non è sempre questione di libertà di coscienza?), in questo modo non ha fatto il gioco dei promotori. Già, ma perché avrebbe dovuto farlo? Del resto se l’elettore poteva essere tentato di ascoltare le sirene di chi offriva aumenti salariali in cambio del “sì” anche a costo di far finire il vascello sugli scogli, almeno la politica un po’ più di lungimiranza la dovrebbe avere.
Oggi si dice che la volontà di 10 mila sammarinesi è quella di veder chiusi i contratti in tempi più rapidi. In realtà – come sempre siamo crudi e diretti, se non vi piace sceglietevi un altro giornale – una lettura molto più veritiera di questo voto è che 10 mila sammarinesi (o comunque una parte importante di questi) si sono presentati alle urne per chiedere di rimpolpare il proprio portafoglio. Legando i salari all’inflazione anche a costo di slegarli dalla realtà. Avessero vinto i “sì”, con l’inflazione sammarinese più alta di quanto impongono i mercati, i rinnovi sarebbero diventati una chimera: altro che volontà popolare.
Scommessa persa: Europa più lontana
Il Comitato promotore – e i partiti che lo hanno sostenuto, a partire dal Psd – hanno perso la partita in maniera clamorosa. I cittadini hanno dato una conferma alle analisi di sociologia spicciola di prima del voto: l’apertura delle frontiere, le famose quattro libertà dell’Europa, un confronto che (per certi versi a giusta ragione) pare impari con l’enorme Unione, spaventano chi ha fatto della chiusura e dell’arroccamento il segreto – storico, sociale e culturale – del proprio successo. O meglio, della propria sopravvivenza. Avevamo detto e scritto che il popolo sammarinese non era pronto a questo voto perché il dibattito pubblico sull’Europa era ancora acerbo e immaturo. I fatti ci hanno dato ragione. Purtroppo.
Diciamo purtroppo perché San Marino non può prescindere dall’Europa. E se il percorso di avvicinamento è già stato avviato, non possiamo non riflettere sulle ragioni del Comitato Promotore che ha giudicato “carica di incognite” la strada dell’accordo quadro per una maggiore integrazione con Andorra e Monaco. Eppure questa, oggi, forse per l’eccessiva fretta, è l’unica percorribile. Per chi fa impresa però, una maggiore integrazione con l’UE è indispensabile. E se i tempi sono lunghi, ANIS ha fatto proposte sensate in tale direzione. Ad esempio possono essere potenziati gli scambi doganali, e favorito il superamento degli attuali vincoli burocratici che impongono, ad esempio, di far transitare necessariamente sempre da San Marino le merci comprate o vendute all’estero. Poi c’è il discorso dell’IVA (o VAT), l’imposta più “europeista” in circolazione. Tutti strumenti per ridurre le distanze aspettando che l’Europa sia pronta per accogliere i Piccoli Stati. E che i sammarinesi siano pronti per entrare nell’UE.