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Repubblica di San Marino: la nuova mappa del sistema bancario

da Redazione

Fusioni, salvataggi, ristrutturazioni: la situazione di uno dei comparti-chiave dell’economia sammarinese è in rapido divenire. Ragionare sul dimezzamento di istituti e di masse raccolte è riduttivo. La realtà attuale è molto più complessa. Occupazione salvaguardata, ma il problema non è risolto. Le traiettorie della ripartenza sono scritte nel Libro Bianco.

 

di Loris Pironi

 

C’era una volta un paese con non uno ma ben tre castelli arroccati sulla cima del monte, un paese – più mitizzato che mitologico – in cui si racconta ci siano più banche che negozi di fornaio. Un paese in cui un imperforabile alone di segretezza fino a poco fa avvolgeva i numerosi forzieri, in cui i giornalisti occasionalmente inviati oltre il confine raccontavano di aver visto coi loro occhi, appena varcato l’arco che dà il benvenuto in questa antica terra, uno skyline nel quale a colpire l’occhio sono soprattutto gli architettonicamente arditi edifici delle banche (oggi nel mezzo c’è anche un compro-oro, ma del resto cosa volete, sono i tempi che corrono).

Chi oggi prova a raccontare il cambiamento che il sistema bancario-finanziario del Titano ha vissuto in questi ultimi cinque anni – perché sembra un secolo, ma dall’inizio della crisi sono passati appena cinque anni – parte da un banale dato numerico: a fine 2008, prima della stretta innescata dal G8 ai cosiddetti paradisi fiscali, prima dello scudo tremontiano, prima che ci si accorgesse di quanto profonda è questa crisi e in particolare di quanto sono stati trascurati i limiti strutturali del sistema economico e politico sammarinese, sul Titano c’erano 12 banche e oltre 70 finanziarie. Quello che abbiamo di fronte ai giorni nostri è uno scenario più che dimezzato, con sei soggetti bancari (singoli istituti di credito, gruppi o aggregazioni bancarie) attualmente operativi, poco più di una quindicina di finanziarie – una parte legate ai suddetti gruppi – con una raccolta di denaro complessiva dimezzata rispetto al passato (da oltre 14 miliardi a poco più di 7,1 dell’ultimo dato di Banca Centrale). Se l’immagine che balza agli occhi è questa, la realtà è decisamente più complessa. Anche da raccontare.


Quanti interventi non indolore

 

Partiamo da un aspetto non trascurabile: lo Stato è dovuto intervenire in diverse occasioni e con più strumenti per garantire la stabilità del sistema. Interventi che certo non sono stati indolore, a partire dalle operazioni meno recenti (il salvataggio di Banca del Titano, prodromo di tutti gli interventi successivi) fino ad arrivare al cosiddetto Decreto Salva-Banche, o Salva-Risparmio (D.L. 72 del 27 giugno 2013, Misure urgenti a sostegno di operazioni a tutela del risparmio). Naturalmente senza dimenticare la ricapitalizzazione di Cassa di Risparmio. Complessivamente si tratta di un costo per la collettività, diretto o indiretto, che nell’arco di alcuni anni andrà ad ammontare ad alcune decine di milioni di euro, ma che ha permesso di centrare l’obiettivo principale: evitare l’affondamento di un vascello inevitabilmente fragile che si è trovato di punto in bianco in mezzo alla più classica delle tempeste perfette. Il Presidente dell’Associazione Bancaria Sammarinese, Pier Paolo Fabbri, nell’intervista qui a fianco assicura che il sistema bancario di qualsiasi altro Paese, sottoposto a simile stress, non avrebbe retto. Le sue asserzioni in tal senso sono più che credibili. Di fatto però la politica, pur essendo riuscita ad evitare conseguenze ben peggiori – potremmo anche definirle drammatiche – in meri termini economici ha più che altro traslato il problema. Poiché il denaro iniettato – a giusta ragione – nel sistema, oggi non può essere utilizzato altrove, così i conti pubblici piangono e il Governo è costretto a intervenire spingendo sulla leva fiscale.


Occupazione e contratti. Problemi delicati

 

Per completare il quadro aggiungiamo un altro dato significativo (ma trascurato nel dibattito pubblico): se le banche si sono dimezzate, diciamo così, la ricaduta in termini occupazionali di questa drastica riduzione sono state tutto sommato molto contenute. Si parla di meno di una cinquantina di unità, comprese le ultime procedure di licenziamento, quelle, sotto i riflettori, di ECB, mentre, sono attualmente impiegati nei sei soggetti quasi 600 dipendenti (dato aggiornatissimo: al 31 agosto 2013). Anche il numero delle filiali sparpagliate sul territorio è rimasto pressoché invariato, con pochissime chiusure. Questo è un fattore che da un lato può essere valutato in chiave positiva, ma dall’altro dovrebbe sollevare almeno qualche perplessità sulle prospettive a lungo termine. Perché il mercato per le banche sammarinesi ad oggi è solo quello interno, verosimilmente si tratta di un mercato troppo piccolo per sperare concretamente che le scelte compiute oggi in nome della salvaguardia dell’occupazione non finiscano per essere scontate, prima o poi scontate da qualcuno, gli stessi dipendenti, le banche o, in qualche forma, la cittadinanza. Legato al tema dell’occupazione c’è quello del contratto collettivo, scaduto da tempo, ma anche quello del cosiddetto referendum salva-stipendi: se per caso il 20 ottobre vincessero i sì, le banche sammarinesi si troverebbero a dover pagare aumenti che un sistema così minato dalla crisi difficilmente potrebbe sostenere. Ma anziché preconizzare il futuro, limitiamoci a fotografare il presente. E qui le cifre parlano chiaro. Gli stipendi medi (ci riferiamo al costo del personale diviso per il numero degli occupati complessivi), dei dipendenti delle banche sammarinesi è leggermente più alto di quello italiano ma molto più alto della media europea. E ammonta a 76.200 euro lordi (fonte ABS). Questa cifra è calcolata a tutto il 2012, su 7 istituti su 9: restano esclusi i due soggetti vigilati ECB e BCS, ma questo non incide in maniera sostanziale sul dato complessivo. Il parallelo con la media europea, 56.800 euro, viene citato dal rapporto dell’Associazione Bancaria Italiana del 2011 (anche in questo caso è l’ultimo disponibile, ma resta più che attendibile per i nostri utilizzi).


Le traiettorie per la ripartenza

 

Con un mercato così ridotto, con una politica di attrazione d’investimenti nel settore bancario che ancora latita e continuerà a latitare finché il sistema sammarinese nel suo complesso non incomincerà a diventare davvero attrattivo, quali sono le prospettive di crescita? Le linee guida della ripartenza sono contenute nel Libro Bianco redatto dall’ABS nel 2012 e partono dal potenziamento degli accordi internazionali, a partire da quello con Bank-italia, per puntare a un nuovo posizionamento nel settore dei nuovi servizi finanziari ad alto valore aggiunto che consentano di superare la dipendenza dai depositi e dalle funzioni di mera banca commerciale. Poi c’è il sogno della piazza finanziaria, che oggi francamente ci pare ancora un po’ troppo lontano.


Il cimitero dei soggetti autorizzati

 

Il cimitero dei soggetti autorizzati è pieno di croci. In realtà dall’inizio della crisi una sola banca è stata posta in liquidazione amministrativa coatta, ovvero è stata fatta fallire. Parliamo del Credito Sammarinese, su decisione di Banca Centrale al seguito di un’inchiesta giudiziaria (“Decollo Money”) che ha peraltro comportato numerosi mesi di carcere preventivo per il presidente Lucio Amati.

Qui però non vogliamo perderci nei meandri della cronaca, tantomeno quella giudiziaria, sin troppo ricca di vicende e di sviluppi – inchieste, processi – ancora ben lungi da poter permettere di scrivere parole definitive, che peraltro non aggiungerebbero nulla ai nostri ragionamenti. Senza contare che anche l’attuale scenario è tutt’altro che sedimentato.

Qui ci limitiamo ad un volo radente. Giusto per appurare che Cassa di Risparmio e Banca Sammarinese d’Investimenti (BSI) sono le uniche banche “superstiti” che non hanno partecipato al valzer delle acquisizioni (o accorpamenti oppure ancora salvataggi, come li vogliamo chiamare).

In divenire, in particolare, c’è la situazione di Euro Commercial Bank, attualmente entrata nell’orbita del Gruppo Banca CIS, ma al centro della querelle politica con la recente ferma presa di posizione di Alleanza Popolare, peraltro partito di maggioranza. In linea teorica è ancora fluida anche la situazione di BCS, acquisita al 100% da Asset ma attualmente “inoperativa”, come si legge sul sito di Banca Centrale, dopo un’amministrazione straordinaria dal 28 ottobre 2011. Per entrambi questi istituti le normative vigenti offrono ancora la possibilità di una cessione, ma la finestra temporale per simili operazioni non è illimitata.

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