Home FixingFixing San Marino, referendum: al popolo l’ardua sentenza

San Marino, referendum: al popolo l’ardua sentenza

da Redazione

Riflessioni sui due interrogativi a cui i cittadini sammarinesi domenica sono chiamati a pronunciarsi.

 

di Loris Pironi

 

Un lungo brivido dovrebbe scorrere lungo la schiena dell’elettore sammarinese, questa domenica, nel segreto dell’urna, al momento di apporre la fatidica croce sul ‘sì’ oppure sul ‘no’, delle due schede referendarie.

Con la fronte imperlata di sudore dovrebbe presentarsi dinnanzi agli scrutatori e, la mano tremante per la tensione, cercare la via giusta per imbucare le schede nell’urna. È il grande potere della democrazia che impone grandi responsabilità.

Certo, così almeno dovrebbe essere.

Ma così non sarà.

Per i cittadini che decideranno di svolgere il proprio dovere civico andando a votare, l’approccio sarà sicuramente meno drammatico, più leggero. La responsabilità personale finisce per smarrirsi nel buio della massa. Eppure le scelte che si compiranno questo fine settimana sono gravide di conseguenze. Per tutti.

Parliamo senza remore: si tratta di due quesiti densi d’insidie, per vari motivi. Innanzitutto per le conseguenze che portano in sé (conseguenze non necessariamente negative, almeno in un caso), ma anche per i “rischi” che i comitati promotori si sono assunti nel decidere di lasciare questa grande responsabilità ai cittadini. In entrambi i casi un elemento chiave sarà il “quorum”: per farli passare infatti serviranno più di 10 mila “sì” o “no”.


Referendum verso l’UE: che scenario si prefigura?

 

Il quesito europeista è molto più complesso di quanto è stato dipinto in queste settimane. Non è un banale “volete o no entrare in Europa?” Del resto, per comprendere questo concetto basterebbe leggersi con attenzione il quesito per intero (lo trovate al centro della pagina). La vittoria del ‘sì’ garantirebbe l’avvio della procedura di adesione all’Unione Europea, non l’adesione. E qualora l’iter arrivasse fino in fondo, i cittadini sammarinesi sarebbero richiamati alle urne per un secondo referendum, per dare il proprio eventuale assenso all’adesione vera e propria. Come minimo, passeranno anni. Ed è proprio qui che si nascondono le insidie per il comitato promotore: in caso di vittoria del ‘sì’ si tratterà di una scelta di campo che implicherà un impegno in una direzione precisa ma su una strada molto lunga e tortuosa su cui si rischia di attardarsi o perdersi ad ogni svolta. In caso di vittoria del ‘no’ invece la chiusura all’Europa sarebbe netta e quasi senza ritorno: valeva la pena un simile azzardo quando palesemente l’opinione pubblica è ben lontana dall’essere pronta a affrontare una simile questione? In realtà San Marino un primo passo sulla strada verso l’Unione Europea l’ha già compiuto, sondando il terreno e muovendosi di comune accordo con Andorra e Monaco, alla ricerca di un accordo-quadro con un’Unione, che ancora non pare pronta ad aprire le proprie porte ai Piccoli Stati. Questa posizione però non convince del tutto i promotori del referendum, che la reputano insufficiente, così come hanno bocciato l’ipotesi di aderire allo Spazio Economico Europeo.


Referendum salva-salari. Ma poi chi si salva più?

 

La vera forza del Comitato Promotore di questo referendum sono le 2.000 firme raccolte in pochi giorni per dire “sì” a un quesito che permette ai lavoratori di guardare all’“oggi” con più serenità, anche se del doman non v’è certezza come recitava il Magnifico. Il bacino di voti a cui la Cdls strizza l’occhio è quello dei lavoratori della PA e delle loro famiglie, attualmente in fase di aumenti zero, ma presto alle prese con un rinnovo che in questo scenario si preannuncia estremamente difficile da veder condotto in porto. Per raccontare le ragioni del “no” – che Fixing ha sposato fin dalla prima ora – spieghiamo invece cosa potrebbe comportare la vittoria del “sì”. Votare “sì” al Referendum Salva Stipendi, significherebbe votare “sì” a un principio “Affossa Economia”. Per salvare gli stipendi, per davvero e non solo sulla carta, si deve infatti fare di tutto per preservare l’occupazione. Questo è chiaramente impossibile se si decide, per legge, di aumentare il costo del lavoro a prescindere dalle reali condizioni dei mercati e dell’economia. Di modi per tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni ce ne sono altri, senza dimenticare il dato generale (invece sempre dimenticato, guarda caso) che vede i cittadini di San Marino in posizione di netto vantaggio rispetto a chi vive dall’altra parte del confine. Ma votare “sì” avrebbe conseguenze pesanti anche sui conti dello Stato. Nel pubblico impiego le retribuzioni medie oggi sono più alte rispetto al settore privato del 25%, quindi per molte famiglie c’è già un margine su cui poter contare. Per diminuire il debito pubblico e andare nella direzione indicata dalla spending review non si può far altro che partire dal blocco degli aumenti nella PA per i prossimi anni, cosa impossibile con questo referendum. Uno scenario alternativo? Tagli e tasse. Altre soluzioni, purtroppo, non sono ipotizzabili.

Demagogia per demagogia, dato che giochiamo a carte scoperte, più che “salva stipendi” questo è un referendum che pare un Robin Hood al contrario. Basti guardare a quali sono le categorie di lavoratori che sono state più solleticate dal Comitato del ‘sì’ in queste settimane: i lavoratori della PA, i bancari (attualmente già in fase di vacanza contrattuale, +25% rispetto alla media europea) e i dipendenti di Banca Centrale. Beh, volete sapere, in caso di vittoria del ‘sì’, chi tirerà fuori i soldi per pagare i loro aumenti? Quindi il nostro personalissimo appello al voto: “no”, scheda bianca, scheda nulla oppure non ritirata.

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