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San Marino, il referendum salva salari rischia di affossare il Paese

da Redazione

Il Presidente ANIS, Emanuel Colombini, sui due quesiti del 20 ottobre. UE: siamo aperti. Ma non esiste una panacea europea ai nostri problemi.

colombini emanuel 2013 

 

 

 

di Loris Pironi

 

Per San Marino si avvicina un importante doppio appuntamento. Il 20 ottobre i cittadini saranno chiamati alle urne per i referendum. Il primo riguarda la marcia di avvicinamento all’Unione Europea, il secondo invece, promosso da una parte sindacale, vuole legare, in periodo di vacanza contrattuale, gli aumenti retributivi all’inflazione. Al Presidente dell’ANIS, Emanuel Colombini, chiediamo qual è la posizione degli industriali sammarinesi sui due quesiti.


Partiamo dal ragionamento già in piedi da tempo sull’Europa. Gli imprenditori sammarinesi già oggi si confrontano quotidianamente con l’UE. Qual è la posizione ufficiale dell’associazione?

 

“In merito all’Europa la nostra Associazione ha da sempre sostenuto un approccio cauto e ragionato sulla giusta strategia da adottare. In linea generale non nascondiamo che per le imprese essere in Europa rappresenta di fatto un vantaggio importante. Eppure non possiamo trascurare il metodo e le condizioni con cui il nostro Paese dovrebbe eventualmente aderire all’UE. Quindi, se il referendum serve a dare uno slancio e dichiarare una volontà chiara in questa direzione, noi lo comprendiamo. Ma da un punto di vista di politica estera ci sembra, al contrario, un sistema che raffigura una scollatura fra la realtà e l’immaginazione della ricerca di quella panacea Europea che risolva automaticamente i problemi del Paese”.


Per quello che riguarda il secondo quesito invece si tratta di una materia piuttosto complessa. O meglio, di difficile comprensione per la cittadinanza.

 

“Per come è stato posto il secondo quesito referendario è certamente difficile immaginare che ci possano essere contrarietà da parte dei lavoratori dipendenti. Se posso fare un esempio paradossale, sarebbe come se gli imprenditori promuovessero un referendum per lavorare 45 ore a settimana. Allo stesso tempo va anche detto che questa non è materia che si doveva dare in pasto a uno strumento di democrazia diretta, scavalcando tutte le parti sociali preposte a trattare l’argomento. L’aspetto che più rimane bizzarro è che la raccolta firme è venuta da una parte del sindacato che ovviamente non è concorde con le visioni delle altre confederazioni e che si dimostra oggi pure in difficoltà a sostenere la posizione, per di più se dovesse vincere il sì, peraltro delegittimando se stessa al prossimo tavolo contrattuale”.


Sull’aggancio dei salari all’inflazione in via automatica la posizione dell’Anis è stata molto netta sin da subito.

 

“Nel malaugurato caso di vittoria dei sì ciò significherebbe che, ogni qual volta si arrivasse alla scadenza di un contratto collettivo di lavoro, partirebbero degli aumenti automatici legati all’inflazione, da qui il richiamo alla cosiddetta ‘scala mobile’. Oltre al problema che si genererebbe nell’annullare quasi completamente il senso della contrattazione fra le parti, in questo periodo storico dell’economia significherebbe allontanare dal Paese le imprese invece che tenersele strette, in quanto i nostri costi del lavoro rischierebbero seriamente di andare fuori mercato e quindi di non essere più competitivi con gli altri Paesi”.


A questo punto chi è che potrebbe votare per il sì?

 

“Potrebbe votare sì qualsiasi dipendente che ragiona opportunisticamente a breve termine, che per i suoi buoni motivi non ha una visione di prospettiva. Del resto non si può chiedere ai singoli cittadini di ragionare di sistema, non sono loro che devono farlo. Ecco, è per questo motivo che dicevo che non è materia da referendum”.


Per concludere, Anis sostiene che questo referendum sia pericoloso anche per la tenuta dei conti pubblici. In che senso precisamente?

 

“Un altro problema da non sottovalutare è l’impatto sul settore pubblico. Lo abbiamo ribadito diverse volte: esiste un differenziale del 20-25% fra la media del costo del lavoro del settore pubblico e di quello privato. Quindi significa che per porre in sicurezza il bilancio dello Stato, un’azione strutturale dovrebbe riguardare il riequilibrio, verso il basso, degli stipendi della Pa, ragionevolmente partendo dal bloccare gli aumenti per i prossimi anni. Con questa iniziativa referendaria si andrebbe invece a minare questa iniziativa e tendenzialmente a portare in aumento quel costo che per lo Stato incide come una delle voci principali nei conti pubblici”.

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