Home NotizieSan Marino San Marino, referendum salva stipendi: Merlini versus Tura

San Marino, referendum salva stipendi: Merlini versus Tura

da Redazione

Il segretario della FULI-CSdL “sbugiarda” il Segretario Generale CDLS sul quesito referendario e sul contratto industria.

enzo merlini

 

 

 

SAN MARINO – La CDLS è sempre più sola. I sindacati si danno le spalle e si allontanano. Attraverso una lettera “aperta” (ma non era meglio parlarle in privato?), il segretario della FULI-CSdL Enzo Merlni (nella foto) “sbugiarda” il Segretario Generale CDLS Marco Tura sul quesito referendario e sul contratto industria. Merlini punta il dito sul legame tra il referendum e il contratto industria, ma non solo. Ecco la lettera integrale scritta da Merlini a Tura.

 

Caro Marco, ho letto che tra le argomentazioni che stai proponendo a sostegno del referendum, detto ‘salva stipendi’, vi è anche il merito (della proposta referendaria) di avere sbloccato il contratto industria. Inoltre sono state riportate informazioni inesatte, per cui non posso esimermi dall’intervenire in merito. La trattativa per il rinnovo del contratto industria si è sbloccata quando abbiamo ritenuto che fosse necessario fare alcune aperture sulla gestione degli orari di lavoro. Poi abbiamo impiegato alcuni mesi a limare alcune posizioni dell’ANIS e a farla desistere da altre pretese impresentabili, per giungere al testo finale dell’accordo contrattuale, che è stato sottoscritto dalle parti. Questo risultato, semmai, ha rischiato di saltare proprio a causa delle annunciate intenzioni di proporre il referendum in questione, che hanno “turbato” non poco le trattative. Tanto che vi è stato un rallentamento proprio perché sulla parte economica, ad un certo punto, si è verificato un dietro-front dell’ANIS rispetto ad alcune cifre che circolavano; hanno sempre addotto l’accentuarsi della crisi come motivo, ma io sono convinto che alla base, invece, ci fosse proprio una reazione a tale iniziativa. Far saltare la trattativa e giocarsi la partita nelle urne avrebbe fatto “guadagnare” altri 2 o 3 anni senza riconoscere aumenti. Non era male tutto sommato per imprenditori poco lungimiranti, ma alla fine ha prevalso il buon senso. Chissà che tali posizioni non abbiano preso il sopravvento per gli altri contratti del settore privato, che sono ancora in attesa di rinnovo! Di certo i lavoratori di questi settori non hanno beneficiato dell’influsso del referendum! I giornali riportano questa ulteriore dichiarazione: “Un lungo immobilismo che, dentro una crisi devastante, è costato 90 ore di sciopero e una perdita secca del 4,5% delle retribuzioni”. Cosa c’entrano gli scioperi del 2005 (evidentemente è a questi che si fa riferimento), che non sono stati fatti di certo per i soldi, ma per ridimensionare il fenomeno dei contratti “atipici”? In quegli anni, l’economia prosperava e, se ci fossimo accontentati della sola parte salariale, il contratto lo avremmo chiuso bene e con poca fatica. Dal 2009 ad oggi, stando ai dati ISTAT, indice IPCA, cui abbiamo sempre fatto riferimento, anche nell’ultimo contratto, i lavoratori dell’industria hanno perso il 2,5% (peraltro quest’anno stiamo parzialmente recuperando terreno): per cui non capisco da dove arrivi la cifra del 4,5% di perdita che hai indicato. A meno che in tale percentuale non si voglia ricomprendere anche l’aumento di tasse e contributi, che però neanche il si al referendum risolverebbe. Oppure non si voglia guardare all’indice sammarinese, che non abbiamo mai adottato come riferimento, perché influenzato da fattori di estrema variabilità. Fare leva su informazioni non corrette è un male per la democrazia, perché gli elettori devono scegliere avendo di fronte il reale stato delle cose, e non quello che viene rappresentato. Quindi, per la campagna referendaria, ti chiedo cortesemente di non usare impropriamente il contratto industria, ma di presentare altre motivazioni. Dopo due giorni di dibattito, mi è saltato subito alle orecchie il riaffiorare, da parte di diversi soggetti, di ciò che l’ANIS ci chiedeva e a cui ci siamo opposti fermamente: la destrutturazione del contratto collettivo nazionale, prevedendo deroghe al ribasso. Avrai certamente notato come ci sia stato più di un oratore che ha colto l’occasione per riaffermare che il futuro sta nei contratti aziendali, che in realtà tutelano solo i lavoratori delle aziende più grandi, come ben sai, e poi solo sulla carta. Chissà che, passata questa tornata referendaria, non se ne debba aprire un’altra, accompagnata da una ulteriore fase di mobilitazione, se queste sirene dovessero ammaliare la maggior parte delle forze politiche o dei singoli Consiglieri, considerando che tra questi ultimi i lavoratori dipendenti provenienti dal settore privato sono quasi come le mosche bianche…

Con immutata stima.”

Enzo Merlini

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento