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San Marino, ammortizzatori sociali: è mal comune con l’Italia

da Redazione

Vardanega, Presidente degli industriali di Treviso, denuncia: “Più vantaggioso stare a casa”. In Italia si può non lavorare e prendere “ben” 800 euro. E a San Marino anche 1.800.

 

di Loris Pironi

 

Vogliamo essere impopolari? E allora riprendiamo l’intervista rilasciata da Alessandro Vardanega, presidente degli industriali di Treviso, dunque di una delle province più industrializzate d’Italia, nei giorni scorsi. Vardanega ha raccontato che anche nell’operoso Nordest sono frequenti, per quanto in diminuzione per via della crisi, i casi di rifiuto di un’offerta di lavoro. Citiamo testualmente: “Molto spesso è ritenuto più comodo e vantaggioso lo sfruttamento degli ammortizzatori sociali, per occuparsi magari della cura della casa e della famiglia o di lavoretti ai margini della legalità, non necessariamente svolti per conto di imprese”. Un’accusa pesante, insomma, che non a caso ha sollevato un discreto vespaio in Italia e, tra le altre cose, ha stimolato un’interessante puntata di Nove in punto, trasmissione radiofonica di Radio24 (la potete ripescare in podcast sul portale della radio, era la puntata del 6 settembre). Qui non vogliamo andare al traino del lavoro dei colleghi, la pagnotta ci piace guadagnarcela da soli. Ci agganciamo alla discussione che si è scatenata – anche sui social network – perché noi di Fixing abbiamo sollevato lo stesso problema più di un anno fa, per come lo abbiamo registrato nella micro-realtà lavorativa della Repubblica di San Marino. Prima di sfiorare il rischio-generalizzazioni diciamo che stiamo parlando di casi limite, di situazioni non frequenti ma che non possono comunque essere derubricate a casi isolati. Situazioni che si sono verificate portando alla luce alcuni limiti di un sistema da ritarare. Diciamo anche che non ci sono solo i lavoratori più o meno furbetti o più o meno indolenti, ma che talvolta – alcune situazioni sono finite anche sotto la lente d’ingrandimento dei media – anche alcune aziende sfruttano situazioni borderline per risparmiare sul costo del lavoro a danni dell’ente erogatore dell’ammortizzatore sociale (che peraltro non è lo Stato, e sarebbe comunque grave, ma sono gli stessi lavoratori e imprenditori, che versano una quota al Fondo Ammortizzatori Sociali).

Il problema è dunque il medesimo in linea generale, tra Italia e San Marino. Solo che cambia la portata. In Italia infatti l’ammortizzatore sociale su cui il lavoratore “choosy” (passateci il termine, non piace neanche a noi, lo utilizziamo solo per ricordare chi l’ha tirato fuori, ovvero l’ex ministro Elsa Fornero…) conta per stare a casa sono 800 euro al mese. Poi magari c’è anche l’ammortizzatore-famiglia, che mette evidentemente il restante per far quadrare i conti, tra vitto e/o alloggio. A San Marino l’asticella è posta un po’ più in alto. Riprendiamo il nostro articolo di allora: era il numero 16 del 20 aprile 2012, partimmo dalla richiesta ingenua, ma perlomeno sincera, di un lavoratore che scongiurava un imprenditore di non assumerlo perché lavorare non gli conveniva, stando a casa avrebbe “guadagnato” di più almeno per qualche mese ancora.

Allora facciamo l’esempio di un ipotetico lavoratore posto in mobilità: fino all’ultimo stipendio aveva portato a casa 2.500 euro mensili, un caso più che plausibile. Con l’ammortizzatore sociale, ogni mese, per tutto il primo anno, questo lavoratore ancora oggi riceve un assegno di circa 1.800 euro.

Mille euro in più rispetto al lavoratore italiano posto in mobilità a parità di stipendio.

A questo punto si potrebbe aprire una parentesi sulle condizioni del Fondo Ammortizzatori Sociali, finanziato da imprese e lavoratori, che viaggia in profondo rosso: il barometro prevede un passivo di oltre dieci milioni di euro per l’anno in corso.

Ma torniamo al nostro lavoratore sammarinese. Con 1.800 euro in tasca tutti i mesi per un anno, se per caso una nuova azienda gli proponesse un nuovo contratto di lavoro con un livello più basso rispetto a quello che aveva in precedenza, e dunque anche un salario iniziale di 1.500 o 1.600 euro, cosa lo potrebbe spingere ad accettare l’offerta anziché rimanere alla finestra con una scusa fino alla prossima proposta lavorativa più conveniente?

In Italia, sosteneva Vardanega nell’intervista in questione, di fatto c’è un sistema di ammortizzatori sociali che favorisce l’inattività e non stimola i giovani, anche se la crisi ha iniziato a spingere anche verso lavori un tempo meno richiesti o ad approcciarsi all’occupazione con una maggiore flessibilità. Chissà se sapesse cosa accade a San Marino.

A onor del vero dobbiamo dire – anzi l’abbiamo già detto, perché all’approfondimento in questione abbiamo dedicato l’apertura dello scorso numero di Fixing, il n. 32 – che è in rampa di lancio un progetto di legge che è considerata una sorta di trampolino di lancio verso l’imminente riforma del mercato del lavoro e andrà a modificare il “sistema di erogazione degli incentivi e per l’occupazione e la formazione e delle tipologie contrattuali a contenuto formativo”. Tra i tanti punti toccati anche l’equilibrio dell’ammontare e della tempistica del trattamento economico speciale. Oggi il lavoratore percepisce per i primi sei mesi il 70% della retribuzione precedente la messa in mobilità e per i successivi sei mesi il 65%; qualora questo progetto di legge venisse approvato con questa formula dal Consiglio Grande e Generale, questa percentuale scenderebbe, di 3 mesi in 3 mesi, dal 70% al 60%, poi al 50% e infine la 40%.

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