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Tornare o non tornare? Lo “stress da rientro”

da Redazione

E’ una sindrome non pericolosa che, tuttavia, non va presa sotto gamba. Al ritorno il lavoratore soffre e la produttività cala. Ecco cosa fare.


di Stefano Pasqui*

 

Ai primi di settembre il ben noto dubbio amletico: “Essere o non essere?” si traduce, per una infinità di persone, in “Tornare o non tornare dalle ferie?” Immaginiamo già che, senza alcun dubbio, la stragrande maggioranza vorrebbe rispondere che niente è meglio del riposo e delle ferie, persino quelle trascorse a casa propria. Ricordiamo, a puro titolo informativo, che tutte le ricerche psicologiche confermano che l’essere umano non può stare, fisicamente e psichicamente, senza fare nulla se non subendo danni psicologici anche gravi.

In buona sostanza, il tempo che chiamiamo “ferie” è di fatto un modo diverso di impiegare il nostro tempo e soprattutto le nostre risorse fisiche e psichiche. Ci si alza senza la sveglia, si ha cura della propria persona con ritmi e tempi diversi dal solito, si fanno sforzi fisici per nuotare o per salire sino ad una malga alpina, si impegna la mente in agguerrite partite a carte o in furiose analisi socio-politiche oppure ancora ci si impegna in visite culturali a musei o a siti di rilievo storico ed artistico. Visto comunque che dalle ferie, salvo rare eccezioni, si deve tornare, per riprendere il lavoro, vale la pena chiedersi se un evento definibile “Sindrome da stress da rientro” esista effettivamente o se sia una invenzione di questa società. Nel caso, ci si può anche chiedere cosa possa fare chi intende prevenirla o gestirla al meglio.

 

I sintomi


Cominciamo col dire che una tale sindrome esiste realmente e che si manifesta con una serie variegata di sintomi fisici e psichici e che in inglese si definisce “PostVacation Blues” o “Stress da rientro”. I sintomi di cui si parla vanno dalla stanchezza diffusa alla svogliatezza, dalle difficoltà coi ritmi del sonno alle difficoltà di attenzione e concentrazione e si può arrivare a vere e proprie crisi della motivazione del tipo: “ma cosa ci faccio in questa scrivania o in questo reparto? Perché non sono alle Maldive!?”. Detto questo, se per caso vi riconoscete in qualcuno di questi sintomi, state comunque tranquilli perché siete assolutamente normali. Il quadro anzidetto non segnala alcun elemento di gravità e non implica che dobbiate preoccuparvi.

L’essere umano – quindi anche voi che leggete – è estremamente plastico, capace di modellarsi e adattarsi alle circostanze in misura molto maggiore rispetto agli altri esseri viventi. In compenso però l’uomo trasforma i ritmi fisici e psichici che apprende, o che è costretto ad apprendere, in “abitudini di vita”, in azioni certe che possono essere ripetute con un minimo di consumo energetico da parte del soggetto. Passare del lavoro alle ferie significa modificare, in tempi di solito strettissimi, le abitudini che utilizzavamo per il lavoro per sostituirle con abitudini che utilizziamo per le ferie. Ovviamente passare dalle ferie al lavoro significa nuovamente modificare le proprie abitudini con tutto quello che ciò comporta.

Dunque sapendo, come sa uno psicologo, che l’essere umano è un giusto (e, si spera, equilibrato) mix di elasticità e di abitudini, e che l’elasticità implica un maggior consumo energetico rispetto alle abitudini, non credo stupisca più di tanto il nostro stress da rientro. Va però aggiunto, a questo punto, che il passaggio da uno stato ad un altro (dal lavoro alle ferie o viceversa) viene affrontato e gestito meglio o peggio in base ad alcuni fattori. Anzitutto in base alle aspettative che il soggetto ha verso lo stato che si deve acquisire, in rapporto a quello che si deve lasciare. Se il soggetto immagina che lo stato verso cui andrà è molto meglio di quello che lascerà, il passaggio sarà ovviamente vissuto come meno fatica. Se al contrario si immagina di andare a stare peggio, il passaggio risulterà molto più complesso e difficile.

Poi ci sono giustamente le reali condizioni che il soggetto deve riprendere a vivere in rapporto a quelle dello stato che deve lasciare. Anche qui se la realtà dei fatti mi dice che andrò a stare peggio, le difficoltà per il passaggio da uno stato all’altro saranno molto maggiori e sofferte per più tempo.

Incide ovviamente il livello di elasticità, di flessibilità psicologica del soggetto che deve affrontare la situazione. Il tempo, il carattere, le precedenti esperienze rendono ciascuno di noi più propenso a irrigidirci su certe abitudini o a mantenerci abbastanza flessibili. Nel primo caso ogni passaggio comporterà maggiori difficoltà e tempi più lunghi di ‘digestione’, nel secondo tutto verrà gestito con modalità e tempi migliori. Infine un certo peso lo riveste anche “Il locus of control” del soggetto. Possiamo sommariamente dire che il locus of control è un modo di pensare che caratterizza le persone dividendole fra chi ritiene di avere buone possibilità di controllare gli eventi e chi ritiene di avere scarse possibilità di controllare ciò che gli succede nella vita. I primi affrontano e gestiscono i cambiamenti (dunque anche quello ferie-lavoro) in maniera migliore, i secondi subiscono ogni cambiamento come una “quasi tragedia”.

 

Strategie


Date le variabili appena citate vorremmo sottolineare l’importanza che riveste la modalità con cui l’ambiente gestisce questo ordine di problemi. Per intenderci il livello di attenzione che l’azienda (l’entità che deve accogliere la persona che rientra dalle ferie) normalmente ha nei confronti della propria risorsa umana. La consapevolezza, da parte dell’azienda, di quanto abbiamo detto consentirà di trovare, a seconda della propria situazione produttiva, degli elementi utili che favoriscano la ripresa (ad esempio: dare spazio ai racconti fra colleghi dei vissuti appena trascorsi, offrire stimoli nuovi che differenzino quanto si faceva prima delle ferie da quanto viene chiesto ora, vivere alcuni giorni in cui le richieste sono meno pressanti o con tempi più elastici, eccetera). Ogni realtà aziendale dovrebbe, in merito, valutare ed ideare le proprie strategie.

Qualche suggerimento per il singolo individuo, ovvero per ciascuno di noi. Ricordando che il vostro fisico è in contatto diretto col vostro mondo psichico, mantenete una qualche attività all’aria aperta, visto che l’attività fisica produce endorfine e che la luce solare migliora l’umore. Dormite quelle che per voi sono le necessarie ora di sonno e abbiate cura della vostra alimentazione, che durante le ferie può aver subito cambiamenti con orari o quantità o tipologie di cibo differenti dal solito. Sperando che siate abituati a lavorare col vostro mondo psichico, fate una valutazione dei pro e dei contro presenti nella situazione lavorativa così come nelle ferie, evitando di mitizzare le seconde e demonizzare il primo. Effettuate un reset delle vostre motivazioni per ricordare a voi stessi il senso che ha per voi il lavoro e quella quotidianità che probabilmente è saltata durante il periodo di ferie. Mettete ordine e fate una lista per importanza delle cose che il lavoro vi richiede di fare. Valutate l’aspetto positivo del ritorno ad alcune relazioni lavorative positive che si spera abbiate nell’ambito del vostro lavoro. Per finire ricordate che la salute psichica umana, e quindi anche la vostra, consiste soprattutto dell’equilibrio fra abitudine e risparmio energetico da una parte e flessibilità e investimento energetico dall’altro. Spesso questo equilibrio è favorito proprio da quel tempo della vita che noi chiamiamo lavoro.

 

*Il dottor Stefano Pasqui è, da oltre trent’anni, psicologo sociale e psicologo del lavoro e dell’organizzazione. Esperto di gestione della risorsa umana, è stato in più occasioni docente ai corsi di INforma, il sistema di formazione di ANIS.

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