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La produttività passa dal welfare aziendale

da Redazione

Dal nido per i figli dei dipendenti fino al carrello della spesa, quante possibilità. Non è banale filantropia. Un approccio possibile anche a San Marino.

 

di Loris Pironi

 

Al dipendente, oggi, viene chiesto sempre di più. Maggior impegno, maggiore disponibilità, maggiore flessibilità; una partecipazione sempre più attiva per il raggiungimento del budget o dei risultati auspicati. Ma un buon imprenditore sa bene che un dipendente che si trova tutto sommato bene sul luogo del lavoro, che riceve attenzioni e qualche gratificazione straordinaria, sicuramente produce di più e rappresenta un elemento che contribuisce alla competitività dell’impresa. Per questo motivo si parla sempre più spesso oggi di welfare aziendale, quale preziosa risorsa da affiancare al sempre più claudicante sistema pubblico, per il benessere dei cittadini. Il campo di interventi – non a carattere monetario – che possono essere predisposti è estremamente vario. Si va da quelli in ambito sanitario e socio-assistenziale ai servizi dedicati alla famiglia, rivolti all’assistenza per i figli o per gli anziani, fino ad arrivare al tempo libero. Attenzione: non si tratta di un ritorno al vecchio sistema paternalistico, il padrone-padre che elargisce benefici ai propri sottoposti, come in alcune interviste ha bene evidenziato l’ex Ministro Tiziano Treu, autore del libro appena pubblicato per Ipsoa dal titolo “Welfar Aziendale, migliorare la produttività e il benessere dei dipendenti”. Dunque parliamo del più classico do ut des: la soddisfazione del dipendente porta benefici al datore di lavoro, una concatenazione semplice e immediata, che si affianca all’ormai altrettanto classico premio di produzione in denaro.

 

Una fotografia


La fotografia del fenomeno si colora mese dopo mese con tinte sempre più ricche di sfumature. Va rilevato innanzitutto che il welfare aziendale è diffuso soprattutto nelle aziende di medio-grandi dimensioni, ma non sono rari, al giorno d’oggi, esempi di aggregazioni territoriali per sfruttare le economie di scala. Una realtà come quella di San Marino, ad esempio, potrebbe mettere a frutto le potenzialità di alcune zone industriali ad alta concentrazione di imprese per rispondere a particolari esigenze dei propri dipendenti. Chissà che in un futuro non lontano, qualcosa del genere possa essere messo in campo anche sul Titano, magari grazie anche alla spinta delle associazioni di categoria o dei sindacati – il ruolo delle parti sociali è fondamentale in questo ambito – Un appello, questo, che, chissà non possa essere raccolto ad esempio dall’Associazione Nazionale dell’Industria Sammarinese, la più importante realtà economica della Repubblica. Peratro sul Titano qualche esempio prototipico c’è già, a partire dalle mense in cui migliaia di dipendenti oggi possono mangiare bene con una spesa assai esigua. Questo tipo di welfare, se fosse sviluppato, potrebbe assicurare anche una maggiore attrattività per il mercato del lavoro sammarinese: il vantaggio di erogare premi aziendali o altro sotto forma di servizi o addirittura prodotti mette al sicuro una parte del salario dalle imposte. Tornando all’Italia, statistiche recenti specificano che gli strumenti più utilizzati riguardano l’assistenza sanitaria integrativa (il 24% degli interventi totali), le vaccinazioni (17%), convenzioni con banche e check-up medici (due tipologie stranamente messe insieme, fanno il 16%), e ancora in percentuali decisamente minori corsi di formazione, convenzioni con agenzie viaggi, nidi aziendali, palestre convenzionate, aiuti per l’acquisto di testi scolastici, carrelli della spesa gratuiti e altro ancora. Il campo di applicazione è potenzialmente infinito, limitato praticamente solo dalla fantasia, per quello che è stato definito un “incastro virtuoso” con il welfare pubblico.

 

Esempi virtuosi

 

Manteniamo i riflettori puntati sulla realtà italiana, quella più vicina a noi, dove ci sono esempi virtuosi molto significativi. Si tratta in tutti i casi di grandi aziende, e infatti non a caso la grande scommessa di questi anni è proprio l’allargamento del “secondo welfare” anche alle PMI. Dopo aver citato – impossibile non farlo – il Grande Precursore, Adriano Olivetti, passiamo subito al caso più eclatante di questi ultimi anni, quello di Luxottica. Una recente ricerca, realizzata da Giulia Mallone nell’ambito del progetto Percorsi di secondo welfare, diretto da Franca Maino (che potete scaricare dal nostro sito, www.sanmarinofixing.com)
– analizza altri tre esempi: quelli di KME (l’antica SMI, Società Metallurgica Italiana), di SEA, la Società Aeroporti Milano, e di ATM Azienda Trasporti Milanesi. Luxottica è stata la prima grande impresa italiana a fornire un “pacchetto welfare” ai propri dipendenti, già nel 2009; un pacchetto comprendente il “carrello della spesa”, una polizza di assicurazione sanitaria, interventi in ambito scolastico (rimborso libri di testo, borse di studio), il tutto misurato dal Comitato di Governance (composto da responsabili dell’azienda e referenti sindacali). Il risultato è conclamato: minore assenteismo, una riduzione degli scarti di lavorazione, una maggiore attenzione all’efficienza dei processi. Altri interventi sono stati inseriti nell’ultimo contratto integrativo aziendale, che risale al 2011, e affondano le proprie radici nei più moderni principi di work-life balance, ovvero una maggiore attenzione alla vita familiare dei propri dipendenti. La KME invece è una classica realtà di grande fabbrica che ha un peso specifico considerevole nella realtà territoriale che la ospita (si trova in provincia di Pistoia). Qui il primo intervento risale al 2007, con l’apertura di Dynamo Camp, un campo estivo per bambini affetti da patologie gravi e croniche, sorto all’interno di una vecchia fabbrica del gruppo. Altri interventi, voluti dall’azienda, al culmine della fase di crisi internazionali, sono stati osteggiati dal sindacato nell’ambito di una serrata trattativa di ben più ampia portata. Per la SEA il momento culminante del cambiamento in fatto di secondo welfare è stato la crisi del 2008, causata dal de-hubbing di Alitalia, che ha portato a gravi incertezze economiche per i dipendenti. Nel 2011, al termine di una lunga trattativa sindacale, è stato firmato un contratto integrativo aziendale che ha portato a una governance congiunta per la gestione dei servizi ai dipendenti e ai familiari a loro carico. Infine l’ATM, l’Azienda Trasporti Milanesi, azienda municipalizzata in cui una fondazione, la Fondazione ATM, gestisce dal 1997 tutti i servizi ai dipendenti oltre che gli immobili dell’azienda. Tale ente copre diversi bisogni dei dipendenti: spese sanitarie, consulenza legale e psicologica. Negli anni tali servizi sono stati implementati con l’apertura di un asilo nido aziendale, campagne di prevenzione medica e piani di flessibilità.

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