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Sergio Zavoli e le sue poesie sabato sera a Rimini sul palco di Moby Cult

da Redazione

Sabato 24 agosto Sergio Zavoli, “principe del giornalismo televisivo” presenta a Rimini per il pubblico di Moby Cult il suo libro di poesie L’infinito istante (Mondadori, 2012). Sul palco a dialogare con lui Piero Meldini, romanziere e saggista, e la scrittrice Simona Bisacchi Lenic, firma di San Marino Fixing.

RIMINI – Sabato 24 agosto Sergio Zavoli, “principe del giornalismo televisivo” secondo Indro Montanelli, testimone e narratore di mezzo secolo di storia d’Italia, condividerà con il pubblico di MobyCult i raffinati versi di “L’infinito istante” (Mondadori, 2012), la sua ultima raccolta di poesie.

A dialogare con Zavoli, riminese ad honorem, un altro nostro autore d’eccellenza, Piero Meldini, romanziere e saggista, con la scrittrice Simona Bisacchi Lenic, peraltro firma della pagina culturale di San Marino Fixing.

Dopo “L’orlo delle cose” e “La parte in ombra”, in questa silloge «l’autore ripercorre il proprio passato e la memoria si intreccia con il senso della realtà quotidiana, degli affetti familiari, dei luoghi e delle persone amate, e della dimensione storica», cui aggiunge una «oggi più manifesta attenzione ai temi misteriosi e attraenti dell’interiorità.»

La premessa al testo ne costituisce forse anche una ‘guida’ alla lettura: «Nel sogno – scrive Zavoli – ho ricevuto in dono un vecchio ulivo, sotto il quale non ricordo se un contadino o un filosofo mi spiegava che per l’intera vita ogni cosa scorre a volte grigia a volte luminosa; allora ho chiesto di girarmi le foglie dell’ulivo, come sfogliando un libro, per il tempo del sogno.»

Quell’infinito istante che è ogni vita.

Così il poeta ripercorre la sua, di stagione in stagione. Dieci, le ‘stazioni’ del viaggio. Apre “Un’invecchiata pace”, tra ricordi di guerra – «gli scarabei lucenti» carichi di bombe, nel 1943, le tombe di ragazzi «venuti da lontano» e degli impiccati da quelli «venuti da vicino» e l’elegia delle cose d’infanzia, come l’odore del brodo o le scenografie d’un povero presepe. Con una nevicata che è come coltre rincalzata da una madre. La seconda sezione, “Verranno Vale e Andrea” è nel nome della figlia e del nipote, «venuti entrambi da una storia/solo in cerca di voi», ma che bisogna lasciar andare al loro cammino «stringendo un po’ lo sguardo». “Le miti risonanze” vibrano del commiato dai genitori, morti «dieci anni dopo l’una dall’altro/ lo stesso giorno/ il pomeriggio di quel 6 di agosto», mentre in “Dileguarsi del modo” nel fermo immagine delle donne amate sta la consapevolezza che «ogni storia è un autunno che si spoglia.»

La geografia interiore del poeta si delinea in “I luoghi, le luci” ed “Il casale”, e “La parola e il silenzio” poi si interroga sul cuore stesso della scrittura: «le parole non stanno in una legge/di natura, non si sa se per dare o per avere;/ si va sempre di più verso termini/astrusi in un’arnia zittita.»

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